il ritratto di bonanza
Le inquietudini di Mourinho
Il pianto davanti a una telecamera, l'abbandono del palco dopo una domanda di Ilaria D'Amico e le due metà dell'allenatore in cerca una dell'altra
[Anticipiamo un articolo del numero del Foglio Sportivo in edicola domani e domenica. L'edizione di sabato 28 e domenica 29 settembre la potete scaricare qui dalle 23,30 di venerdì 27 settembre]
Se è vero che il pensiero è una potentissima energia, quello di José Mourinho deve essere parecchio negativo: almeno a giudicare da alcune sue recenti reazioni pubbliche. Qualche settimana fa il grande José ha infatti pianto davanti a una telecamera ricordando quanto gli mancasse la panchina, e, in questi giorni, si è in qualche maniera manifestato con le sue inquietudini, abbandonando polemicamente il palco della Scala di Milano dopo una innocente domanda orientata sul suo stato di disoccupato. Tali comportamenti hanno avvicinato il portoghese a noi, a noi esseri umani deboli e fallaci. José non sta bene, si capisce. Non vive l’assenza con la necessaria serenità. Nessuna pretesa di psicanalizzare il soggetto, per carità, ma soltanto la constatazione della sua umanità.
Da osservatori esterni pensiamo ai grandi dello sport come individui indistruttibili, tenacemente appesi a certezze inconfutabili. E invece non è così. E certe lacrime non sgorgano perché lo prevede un copione; nemmeno il Bob De Niro di una volta piangeva di lacrime vere senza provare un’emozione interiore forte. Mourinho è stato la potenza, il carattere, la ribellione, la provocazione e il successo. Lo ricordiamo in Italia dentro queste vesti. Poi se n’è andato nella notte del trionfo nerazzurro di Madrid e ha fatto un altro corso. Ribellandosi ancora e provocando ancora, vincendo ancora. Ma lentamente si è come ingentilito, perdendo quel colore forte a cui eravamo abituati. Dai capelli sale e pepe all’argento il tempo è passato in fretta, eppure sembra ieri. Quella furia in panchina, la gestualità teatrale, l’idioma portoghese – una musica –, lo sguardo ammaliatore e ammiccante. La scelta di frasi secche e taglienti per spiegare il potere, combatterlo dal suo punto di vista, sfidante sempre prima ancora di essere sfidato. Il suo calcio intuitivo, di pancia, avamposti di guerra dentro una partita. Un generale amato dal suo esercito, pur con qualche rara diserzione.
La sensazione è che il mondo sia cambiato così rapidamente, e con esso i giovani calciatori, che Mourinho faccia fatica a stargli dietro. Fino a poco tempo fa un Pogba, giusto per fare un esempio, non si sarebbe mai permesso di giocargli contro. Eppure questo è successo, e nulla ha potuto il carismatico José. Questo precedente ha forse spaccato l’uomo in due. E adesso le due metà, per dirla alla Calvino, sono alla ricerca una dell’altra. Potrebbero incontrarsi un giorno per la strada facendo finta di non riconoscersi oppure stringersi la mano e fondersi in una nuova identità. Difficile saperlo. Ma una cosa è certa, Mourinho manca al calcio come il calcio manca a lui. Lo rivogliamo presto in panchina, con i capelli bianchi ma lo stesso intatto desiderio di stupire il mondo.