Ribery, il mago delle tre carte

Alessandro Bonan

Una giocata del francese provoca la stessa stupefazione e il vago senso di smarrimento di un inganno ottico

Come quei giocolieri ai semafori, dove scatta il verde e loro sono ancora lì, nel mezzo, a passarsi una pallina da una mano all’altra, e tu li guardi, rapito, mentre suoni di clacson disturbano la magica atmosfera, riportando tutto alla misera realtà di una ennesima giornata uggiosa. Come i giocatori di tre carte, sotto gli archi di una qualsiasi metropolitana, truffaldini con i complici. Che se non stai attento ti pigliano in quella fitta rete di sguardi incrociati e ammiccamenti vari, e ti fanno la festa. Carta qui, la vedi, è proprio lì, e invece la carta è sempre e solo dove vuole il mazzo. In entrambi i casi l’inganno ottico si consuma, provocando stupefazione, un vago senso di smarrimento. Più o meno la stessa sensazione che si prova davanti a una giocata di Frank Ribery: il più grande affare di calciomercato dell’ultima estate.

 

Pareva la classica sbruffonata di un americano in gita, e invece è stato un colpo da maestro di Rocco Commisso. Quando si è presentato a Firenze, tra mortaretti e musica anni Ottanta, Ribery ricordava una statua; una piccola statua di cera. Lo sguardo era fisso, mentre l’ambiente circostante girava come una giostra. Vestito da calciatore, con la maglia viola, pareva quasi un bambino, nonostante l’età. I piedi leggermente a papera, camminava insicuro verso il centro del campo, mentre lo stadio si trasformava in uno di quegli appuntamenti a metà strada tra il grande evento e la festa del patrono. Diciamolo, si sorrideva, increduli che quella fosse una storia vera. Era suggestionante pensarlo, ma le suggestioni esistono per essere mortificate dalla verità. E invece no, ci siamo sbagliati tutti, e il calciatore che abbiamo di fronte è l’interprete più autentico del gioco del calcio.

 

Dove non serve un fisico da atleta, l’età di un giovane, la faccia di un angelo. Serve soprattutto una cosa: l’amore per il pallone. In pochi come Ribery lo sanno guardare, accarezzare, baciare, prendere per mano, nel caso un pallone le avesse per davvero le mani. Ribery sposta la palla come il mazziere delle tre carte sposta l’asso di bastoni. E il difensore, a cui è stato insegnato di guardare proprio il pallone e non le finte del giocatore, impazzisce e non sa che fare. Ribery è un trucco, andrebbe quasi arrestato per come ti frega. Arrestato per truffa. E del resto anche lui lo sembra una truffa, nelle fattezze e nei modi. La faccia scomposta come quella di un Picasso, che sa essere bellissima e tragica insieme. Frank, poi, è un meraviglioso interprete di se stesso, con uno spiccato senso dello show. Quando esce dal campo per pigliare gli applausi, si produce in un’espressione scura che trasmette inquietudine e poi, all’improvviso, in una luminosissima, dal sorriso sconfinato. E tu non sai dove si trovi il trucco e rimani così, stranito, come davanti a una sua finta, in mezzo a una strada, di fronte al giocoliere pazzo di un semaforo. Mentre il mondo alle tue spalle, scioccamente, suona il clacson.

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