L'attaccante del Trani Antonio Picci durante un'intervista (screenshot da Youtube)

Altro che Ibra, vogliamo il bomber Picci in Serie A. Napoli, fai come l'Inter

Jack O'Malley

La presunzione dell'attaccante del Trani ricorda quella di Zlatan. Le reazioni emotive all'"allarme razzismo" e la mossa del Mourinho pugliese

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Ma quale Zlatan Ibrahimovic, qualche squadra di Serie A metta subito sotto contratto Antonio Picci. In un’intervista che sta girando sui social italiani, il bomber del Trani commenta un suo gol in rovesciata segnato nel campionato di Eccellenza dicendo con umiltà che “qualora ce ne fosse stato bisogno ho dimostrato di essere il più forte, e non ci sono dubbi su questo: il gol di oggi si vede in categorie manco in Serie D e manco in Serie C, sfido chiunque a dimostrare il contrario”. Al di là dell’Italiano molto migliore di tanti giocatori di Serie A, Picci ha avuto il merito di far parlare almeno per un giorno di gol e non di allarme razzismo. La sindrome da assedio nazifascista che sta attraversando il calcio italiano porta a reagire in modo sempre più grottesco a fatti che sono ovviamente da condannare. Chiedersi preoccupati su Twitter “ma come siamo arrivati a tutto questo?” non eliminerà i razzisti dagli stadi, al massimo dimostra che non si è mai passati accanto a un campo di provincia o in uno stadio negli ultimi quarant’anni. Dire che la città (non la curva, altro discorso) di Verona è razzista (e la discriminazione territoriale?) o pensare di “dare un segnale forte” convocando Balotelli in Nazionale a prescindere dal fatto che gioca peggio del bomber Picci, serve a qualcosa? 

 

 

Attenzione alle reazioni emotive, insomma, come quella della squadra di ragazzini i cui allenatori – per rispondere a una mamma cretina che, come nemmeno un fascista ospite di Del Debbio, ha insultato un bambino di colore – faranno giocare la prossima partita con la faccia pitturata di nero (completando così con il solitamente criticato blackface il cortocircuito liberal perfetto). Alla fine quello che se la passa meglio di tutti è l’avvocato di Andrea Agnelli: sono tredici anni che ogni sei mesi lo convince ad andare in tribunale per farsi riassegnare lo scudetto di Calciopoli con ricorsi che fanno la stessa fine di un cross dalla trequarti di Calabria ma che ingrossano la sua parcella. Chi lo scudetto non lo vincerà neppure quest’anno è il Napoli: gli azzurri allenati da Carlo Ancelotti sono riusciti a suicidarsi anticipando la fine naturale del ciclo più bello e meno vincente della storia del calcio italiano degli ultimi quindici anni. Le discussioni su ritiri e ammutinamenti, i mancati rinnovi, la polemica di De Laurentiis sulla “vita di merda” che Callejon e Mertens andrebbero a fare in Cina, sono solo le spie di un ambiente che non ne poteva più di iniziare le stagioni al suono di “questa è la volta buona” e finirle con la bacheca più misera di una dichiarazione di Wanda Nara sul campionato dell’Inter. E forse proprio dai nerazzurri dovrebbe prendere esempio il Napoli: da anni campioni morali ad agosto, hanno tenuto incollati tutti per tre giorni su una polemica più finta del fallo subito da Ilicic contro il Manchester City, quella su una presunta rottura tra Antonio Conte e la società. Con fare meno portoghese e più pugliese, l’allenatore interista ha fatto quello che Mourinho faceva spesso: attirare l’attenzione e le critiche su di sé e la dirigenza risparmiando i giocatori. Che dopo la prestazione di Dortmund avrebbero dovuto essere daspati a vita dagli stadi come tifosi razzisti qualunque.

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