Luis Alberto e l'arte del passaggio
Per la Lazio lo spagnolo è stato una scommessa. E oggi, dopo alti e bassi, è tornato a fare ciò che gli riesce meglio: inventare a favore dei compagni. Chiedere a Ciro Immobile
“Preferisco fare l'ultimo passaggio che segnare”. Un manifesto di vita professionale ribadito domenica, con il tocco morbido di esterno con cui ha permesso a Carlos Correa di portare la Lazio in vantaggio contro il Lecce. Ribadito due volte, verrebbe da dire, visto come poco dopo ha sbagliato grossolanamente il raddoppio… È la caratteristica che ha sempre contraddistinto Luis Alberto, cui aggiungere anche un Romero Alconchel a completare il nome. La capacità di inventare a favore dei compagni è ciò che lo ha sempre posto in evidenza nelle stagioni migliori. Gli capita nel 2012-13, quando va in prestito al Barcellona B da un'altra seconda squadra, quella del Siviglia Atletico. Luis Alberto ha vent'anni, nella serie B spagnola si presenta con 11 gol e 18 assist, quanto basta al Liverpool per innamorarsi di lui: 8 milioni di euro ed è trasferimento in Inghilterra. L'innamoramento non è però reciproco, l'adattamento alla nuova realtà faticoso. Colpa anche di un carattere che tende ad abbattersi, soprattutto quando lo spagnolo non si sente al centro del progetto tecnico. E a Liverpool non solo non si trova al centro, ma non è neppure nelle immediate vicinanze. Nove presenze in campionato, mai da titolare e con l'umiliazione di essere convocato appena due volte da Brendan Rodgers da dicembre alla fine della Premier League. Tanto basta per salutare i Reds, per un doppio prestito in Spagna: a Malaga un mezzo disastro, con il Deportivo un successo. A La Coruña viene responsabilizzato, centra una salvezza tranquilla con gol e assist, torna quindi in Inghilterra, ma senza molte aspettative, perfettamente in linea con un carattere tendente all'ombroso stabile.
Luis Alberto ha ancora un anno di contratto, pensa di andare a scadenza e quindi di liberarsi, come capita a molti dei talenti intercettati dal calcio inglese e poi non sfruttati a pieno. Un piano personale che viene stravolto dalla Lazio, che lo acquista per 5 milioni all'ultimo giorno utile del mercato estivo nel 2016: una sorpresa per lui, una sorpresa per chi non lo conosce. Tutti sanno come Igli Tare sappia pescare con mano sicura nelle altre squadre, ma quello spagnolo misconosciuto appare una scommessa eccessiva per tutti. E i fatti successivi sembrano confermarlo. In panchina è appena arrivato Simone Inzaghi, che non sembra concedergli una grande considerazione. Lo stesso Luis Alberto è scombussolato dalla nuova realtà: non lega con l'ambiente, si sente tagliato fuori nella squadra, gioca poco e senza convincere.
A inizio 2017 si muove sull'orlo della depressione, pensando addirittura di smettere con il calcio. Due persone lo salvano: lo stesso Inzaghi e Juan Campillo, il mental coach cui si affida. Il primo capisce di avere tra le mani un giocatore di talento, e lo recupera sul piano tecnico e tattico. Il secondo lavora sulla testa, con un piano fatto di cose semplici: un ordine a cominciare dagli orari, attenzione alla concentrazione, distrazioni da evitare, visualizzazione nella testa di ogni partita. Un lavoro che, nella stagione 2017-18, fa scoprire un Luis Alberto totalmente diverso da quello che si era presentato in Italia.
Inzaghi lo mette al centro del progetto, lui risponde con duttilità sul campo (mezzala, regista o trequartista, tutto va bene) e con gli assist tanto amati: a fine stagione è il più bravo, con 14 gol partiti dal suo piede. Quello di un giocatore che ha tecnica, visione del gioco, verticalità e, soprattutto, la determinazione a cercare il bene dell'altro che, non sempre, è merce comune nel calcio. Un dato che, dopo il calo della passata stagione (cinque assist), e tornato esaltante in quell'attuale: ben nove in dodici giornate di campionato. Un piacere per lui, un piacere per chi gioca al suo fianco. Chiedere a Ciro Immobile, che sta viaggiando a una media mai vista, con quattordici gol in dodici presenze di campionato. Se è arrivato così in alto è anche per merito di chi ha saputo metterlo nelle condizioni ideali per fare il suo mestiere. E, ai nostri tempi, non è cosa da poco.