il foglio sportivo
L'isola felice di Radja Nainggolan
Il centrocampista del Cagliari non è mai stato un calciatore qualsiasi. Ha provato a conquistare Roma e Milano, non ce l'ha fatta del tutto. Perché c’è chi ha più bisogno di altri di un posto per viverla tutta, la sua diversità
Dopo uno dei primi allenamenti a Cagliari, appena arrivato dal Piacenza, Radja Nainggolan se ne uscì così davanti a tutti: “Come posso non giocare io in questa squadra?”. In un ciak tutto il catalogo: ecco la rockstar consapevole della propria voce diversa da tutte le altre.
Lo fece debuttare Massimiliano Allegri, una domenica contro il Chievo, venne espulso e uscì dal Sant’Elia piangendo davanti ai compagni verso il pullman.
Le lacrime successive saranno alla sua partenza: in mezzo, la certezza che è di un’altra categoria ed è giusto che se la vada a prendere. Roma prima, Inter poi. La Nazionale belga. I suoi concerti son spesso accompagnati da qualche chitarra distrutta. La rockstar non sarà mai un chierichetto e in un ecosistema complesso non è mai facile accettarlo. O forse è molto semplice: devi essere di un livello superiore perché il gruppo te lo riconosca e te lo conceda. Quest’estate il ritorno a Cagliari.
Nell’ultima partita vinta contro la Fiorentina per la prima volta in Serie A fa 3 assist e partecipa a 4 reti in totale (compreso il gol).
È diverso. Vede traiettorie di passaggio sconosciute ai compagni. Non solo: corre, fa sentire il fisico, è dominante in mezzo. La settimana prima aveva messo sotto il centrocampo cintura nera d’energia dell’Atalanta. Nainggolan è luce e sostanza: è il quarto calciatore per palle recuperate in campionato. L’impressione è che sia tornato nella sua Isola un giocatore più consapevole della sua forza. Sembra Le Tissier: un Re nella sua comfort zone. Le God, nato sulla Manica e di manica larga con cibo e alcool, aveva scelto di restare praticamente tutta la carriera a Southampton. Danzando nella sua maglia più larga per metterci dentro la pancetta e dispensando sonetti calcistici. Senza mai però provare davvero a mettersi in gioco, a cambiare il suo regime, a rinunciare allo status emotivo acquisito.
Radja ci ha provato, lo ha fatto a tratti con successo, grazie al suo talento tecnico. Ma il contesto non lo ha mai cambiato. E da qui una riflessione. Cerchiamo costantemente la nostra dimensione. Dentro di noi, a lavoro, in amore. È un lavoro di limature. Poi la troviamo per alcuni tratti della nostra vita. Siamo improvvisamente centrati in un contesto. E non è sempre dove ci sono più soldi, più fama, più successo, più titoli. È una questione di flusso. Oggi Radja è centrato. Come lo è stato Le Tissier a Southampton. Come lo è Ilicic all’Atalanta. Come lo è Vardy a Leicester. Lì arrivano scintille. È una questione di momenti, incastri, circostanze. È un lavoro trovare il proprio posto nel mondo, ma queste storie ci insegnano che non è un valore universale, ma soggettivo. E se vibriamo davanti al sincero inno alla qualità della vita di Gotti, che preferisce fare il secondo all’allenatore in prima, un motivo ci sarà. Siamo tutti diversi. E c’è chi ha più bisogno di altri di un posto per viverla tutta, la sua diversità. Qualunque sia. Quella di Nainggolan è scritta nel nome: Radja in indiano significa Re. Ora è centrato: ha recuperato la sua sovranità.