Gino Bartali e la fede in bicicletta
Fu il giornalista Carlin Bergoglio a mettere a nudo il “magnifico atleta cristiano”, parlando più dell’uomo che delle sue pedalate. Un libro di Angelo De Lorenzi ripercorre la storia di Ginettaccio
“Sono solo un contadino toscano che non bestemmia”. Al Tour del 1938 Gino Bartali ci andò per vincere, e quando Paris Soir gli chiese di sé e della sua fede, tagliò caustico e con ironia. La verità era che già da un pezzo al Fascismo non piaceva la devozione religiosa di Ginettaccio, e di lì a poco il MinCulPop avrebbe spedito la sua velina con cui “invitava” la stampa a raccontare del ciclista di Ponte a Ema solo per le imprese sportive, e non certo per quelle religiose. Lui non se ne curava troppo, anzi: entrò nel cuore dei transalpini, anche, per l’affezione che portava per la mistica francese Santa Teresina di Lisieux, o, anni dopo, per il pellegrinaggio (in piena Grand Boucle) al santuario di Lourdes.
Bartali era cattolico vivo, come viene ben intagliato dal libro di Angelo De Lorenzi “Gino Bartali, un ‘santo’ in bicicletta” (Mimep Docete), che ha il pregio di far accompagnare le salite e le fughe dell’atleta toscano – la sua dimensione sportiva e pubblica, insomma – con il nucleo più personale della sua vita. Costruito su due perni, la sua fede e il rapporto con la fidanzata (poi moglie) Adriana. “Ieri passando da Pompei mi sono fermato al santuario della Madonna, ho pregato molto e per tutti, ma più per noi”, le scrisse nel giugno del ’39, durante uno dei tanti momenti lontano da casa, giusto per citare una delle diverse lettere raccolte nel libro. “Ho pregato con tutta l’anima e col pensiero di far sempre meglio e diventare anche più buono, tanto da farmi giungere al più presto possibile alla perfezione che tanto il Signore desidera dalle anime che lo ricordano e vivono sotto la sua Santa protezione”.
Negli anni Trenta non passò inosservata tale caratteristica del ciclista che, nel ’36 e ’37, si portò a casa due Giri. Fu il giornalista Carlin Bergoglio a mettere a nudo il “magnifico atleta cristiano”, parlando più dell’uomo Bartali che delle sue pedalate. È un’epoca in cui lo sport giaceva sempre più lontano dagli oratori e dagli ambienti cattolici: per il Fascio movimento e disciplina erano prerogativa per formare gli italiani di domani. Che un ciclista ringraziasse la Madonna dopo ogni tappa, o si facesse il segno della croce per strada al suono delle campane era qualcosa che rischiava di sfuggire al controllo del Partito. Che infatti nel ’38 ordinò a Bartali di non correre al Giro per “preservarsi” per il Tour: i rapporti coi francesi erano ai minimi, ben avrebbe giocato lo sport nell’incensare la superiorità italiana. Che infatti alla corsa in giallo trionfò, un mese dopo aver vinto i Mondiali di calcio a Colombes, appena fuori Parigi.
La frattura col Fascismo, però, si era aperta da tempo: per la propaganda mussoliniana Bartali era diventato “il frate” o “il fraticello”, ridicolizzando la sua appartenenza all’Ordine Carmelitano, da terziario. E quando poi, nel’ 43, il Cardinale di Firenze Elia Dalla Costa gli chiese il suo aiuto, lui, con fede semplice obbedì, ed entrò a far parte di quella rete clandestina che, operando specialmente tra la Toscana e Assisi, permise a decine di ebrei di fuggire dall’Italia. Il ruolo di Ginettaccio oggi è arcinoto, sebbene lui abbia fatto di tutto per non raccontarlo in giro (“Il bene si fa ma non si dice”, dirà al figlio Andrea). Nascondeva documenti falsi, fotografie e carte nel telaio della bicicletta, pedalava per centinaia di chilometri sicuro che sarebbe passato più inosservato lui, atleta di fama mondiale, di qualsiasi altro partigiano. Di viaggi così ne fece almeno una quarantina.
Non si seppe nulla di ciò nell’Italia dell’epoca né nell’immediato dopo guerra. Restò chiaro a tutti, però, l’esempio tracciato da Bartali, atleta e uomo di fede, militante dell’Azione Cattolica. “Il tempo della riflessione .e dei progetti è passato; è l'ora dell'azione. Siete pronti?”, dirà papa Pio XII ai membri dell’Azione cattolica riuniti in piazza San Pietro nel ’47. Tra di loro c’era anche Bartali. “La dura gara, di cui parla S. Paolo, è in corso; è l'ora dello sforzo intenso. Anche pochi istanti possono decidere la vittoria. Guardate il vostro Gino Bartali, membro dell'Azione cattolica; egli ha più volte guadagnato l'ambita ‘maglia’. Correte anche voi in questo campionato ideale, in modo da conquistare una ben più nobile palma”.