il foglio sportivo – tifare contro
Michigan Wolverines – Ohio State Buckeyes, la battaglia di Toledo
È la partita che chiude infatti ogni anno la sua stagione regolare della Big Ten East, una delle conference più agguerrite di tutto il College football. Gli americani la chiamano semplicemente “The Game”
La “striscia di Toledo” è un piccolo pezzo di terra degli Stati Uniti, attraversato dal fiume Maunee, sul confine tra Ohio e Michigan, per il possesso del quale, tra il 1835 e il 1836, i due Stati combatterono una guerra risolta solo dall’intervento del Congresso, che assegnò il territorio all’Ohio. Ma nessuno, né in Michigan, né in Ohio, questa cosa l’ha mai digerita del tutto. Ed è da qui, da questa “piccola” guerra irrisolta, che è nata la più grande rivalità sportiva del Nordamerica, e forse del mondo, che proprio oggi torna a prendersi la scena. La Big Ten East, una delle conference più agguerrite di tutto il College football (e i college sono il vero deposito del campanilismo americano), chiude infatti ogni anno la sua stagione regolare con l’incontro tra i Michigan Wolverines e gli Ohio State Buckeyes.
Gli americani, che amano la sintesi, chiamano questa partita “The Game”, e tutti capiscono subito di quale partita si sta parlando. È una cosa molto, molto diversa dal Superbowl, che viene vissuto dalla nazione a prescindere dal tifo, come una grande festa nazionale. Tra Michigan e Ohio State, invece, non c’è niente da festeggiare. Dal 1897, quando si disputò il primo incontro, conta solo vincere, perché il campanile è il campanile, e la rivalità è la rivalità, a qualsiasi latitudine. E così, un anno ad Ann Arbor, e un anno a Columbus, sedi rispettivamente della Michigan University e della Ohio State University, da oltre un secolo si disputano scontri epici, e partite indimenticabili e indimenticate, come lo “Snow Bowl” del 1950, vinto da Michigan sul campo dei rivali sotto una nevicata di quelle che solo nel Midwest, o “la partita del secolo” del 2006, alla quale le due squadre arrivarono entrambe a punteggio pieno, poi vinta da Ohio State.
Quest’anno si gioca nella “Big House” di Ann Arbor, lo stadio degli Wolverines, uno degli stadi più belli e affascinanti del mondo. E sugli spalti di questo immenso catino saranno in 115.000 circa, un mare giallo, il colore di Michigan (insieme al blu), nel quale, da qualche parte, si riuscirà a scorgere una piccola isola rossa, i pochissimi tifosi di Ohio State riusciti a trovare un biglietto.
Michigan è in vantaggio, nel computo totale degli incontri (58 vittorie, 50 sconfitte, 6 pareggi), ma Ohio State vince “The Game” da sette anni consecutivi, e anche quest’anno ci arriva da favorita. Motivo in più, per Michigan, per vincere: interrompere una serie di sconfitte che sta diventando imbarazzante, e rovinare la stagione ai rivali. C’è tutto quello che conta davvero, in questa partita: storia, antagonismo, appartenenza, rivalità, e grandissimi protagonisti (per citarne uno solo, Tom Brady, forse il più grande giocatore della storia del football, ha vinto “the Game” come quarterback dei Wolverines nel 1999, dopo averlo perso nel 1998). Insomma, al di là di ogni luogo comune, gli ingredienti che rendono speciale questa partita sono gli stessi che anche in Italia danno sapore alle grandi rivalità sportive, campanilistiche, popolari; ma mentre noi, terrorizzati dalla nostra incapacità di gestire l’ordine pubblico, da anni non facciamo altro che annacquare le passioni dei tifosi, negli Stati Uniti la rivalità, e il campanile, sono considerate un valore assoluto, da preservare e arricchire, senza permettere ai violenti (che – incredibile! - ci sono anche nel Michigan e in Ohio) di rovinare a tutti gli altri una cosa così importante come questo tipo di partite. Che sono, naturalmente, molto più che semplici partite. E al di là dell’ordine pubblico, forse è proprio questa capacità di incardinare lo sport nella tradizione e nella storia e nel cuore della gente, il “modello americano” che dovrebbe seguire il calcio italiano ed europeo, più che ispirarsi alle Superleghe blindate come l’NFL e l’NBA, pensando – avanguardia pura – che così magari si possono fare un po’ più soldi.