il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
Sarri–Conte, i due rivali
L'allenatore della Juventus e quello dell'Inter sono agli antipodi. Per questo è giusto parlare di una rivalità assoluta
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Sarri guarda altrove, Conte in mezzo. La differenza sta tutta qui, in questo modo di osservare la squadra o, per meglio dire, il calcio che la squadra esprime.
Maurizio Sarri cerca una distanza, un punto focale, una specie di miraggio. Vede ruscelli, alberi, una vegetazione nel deserto. Questo è il gioco che cerca: un florilegio di passaggi, in geometrie inesatte, ma disegni comunque, che si esaltino nella rincorsa, nell’avanzamento del pallone, un rotolare logico verso la porta, una cascata in gol. In questa visione metafisica si nasconde l’insidia dell’incubo o, alla meno peggio, dell’imprevisto. Nel sogno, non si controlla quasi nulla, l’inconscio lavora contro di te, la tua volontà, favorendo inclinazioni nascoste. Sarri subisce l’inclinazione del risultato che nel calcio è fatto anche di estemporanee soluzioni, astrali combinazioni, talento, magia e corruzione dell’anima. L’esagerazione di queste parole serve a comprendere la michelangiolesca irrequietezza dell’allenatore toscano, un furore interiore che lo ha portato a credere in se stesso, quando quel sé altro non era che il ritratto di un uomo che amava il calcio a prescindere dal luogo in cui si consumasse, che fosse la polvere della provincia o l’altare dell’impero. Sarri, durante la sua lunga strada, non si è mai perso, al contrario si è piano piano trovato. Scoprendo di essere un allenatore vero prima ancora di estirpare il falso, qualora ve ne fosse. Alla Juventus il gioco passa attraverso il risultato, imprescindibile. A volte questo passaggio è largo, come un fiume in pianura, a volte strettissimo come un filo nella cruna di un ago. La difficoltà del suo lavoro si determina in questi momenti, ma la cultura dell’impossibile esalta l’idea, la rende probabile, avvicinando il punto focale. E il filo passa, o forse passerà, perché ancora siamo solo all’inizio di un’opera di cui non conosciamo il finale.
Antonio Conte è talmente diverso dal suo avversario che proprio per questo è giusto parlare di una rivalità assoluta.
Conte guarda in mezzo, come si è detto. Entra nel problema e non lo aggira, per lui il punto focale non esiste. Non ci sono distanze da osservare, immagini da evocare. Il pugliese porta le mani al cuore e lo strappa. Poi comincia l’ispezione, la sezione per meglio dire. Riparato l’organo lo rimette al suo posto. La squadra pompa, il sangue circola, il corpo prende vita. Lo slancio è potente. Conte fa giocare la squadra senza disegni preordinati, in lui la traccia si solca al momento in cui le cose accadono. Ma ingannevole è il cuore più di ogni cosa, perché la vittoria non è frutto solo del sentimento. C’è il lavoro, costante, asfissiante, ai fianchi, come si dice, di un uomo che non conosce la tregua. Il calciatore prima trema e poi corre. Per questo Conte è destinato a vincere e poi, è già successo, a fuggire.
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