Prima o poi ci giocheremo tutti. L'europeo vinto e il futuro del Padel
Parla Gustavo Spector, l’allenatore della Nazionale italiana di padel che ha vinto l’Europeo a novembre. Presente, scontri politici e futuro di uno sport in crescita che può praticare “anche mio zio che ha 70 anni”
Gustavo Spector, l’allenatore della Nazionale italiana di padel che ha vinto l’ultimo Europeo, ha appena finito di giocare una partita con l’ex calciatore nerazzurro Esteban Cambiasso. Hanno sfidato una coppia di amici italiani e l’Argentina ovviamente ha avuto la meglio. “Esteban è un giocatore bravo bravo. Non viene dal tennis e non ha i colpi del tennista. Piuttosto ha le stesse caratteristiche di quand’era calciatore: senso del gioco, posizione in campo, sa vedere gli spazi. Da ragazzo giocava in Argentina, perché là il padel era praticato proprio da tutti, compreso Maradona. Ha 39 anni e non può più diventare professionista. Ma è un buon giocatore”. Il giorno prima al Milano City Padel in via Ortese sono passati Bobo Vieri e Pierluigi Casiraghi, quest’ultimo uno dei proprietari dei campi assieme a Demetrio Albertini. Anche a Roma sono tanti gli ex calciatori appassionati. Giocano a padel Totti, Marchegiani, Di Canio e Candela, probabilmente il più bravo di tutti. È lo sport del momento nelle grandi città, la vittoria a novembre dell’Europeo di Roma avrà un impatto positivo per tutto il movimento. “È stata una settimana piena di emozioni – racconta Spector al Foglio Sportivo – sapevamo che sarebbe stata dura ma anche che avevamo delle possibilità. Sono felice perché i nostri ragazzi stanno crescendo bene”. Al Bola Padel Club l’Italia ha sconfitto in finale la Francia 2-0, un punto è arrivato dalla coppia formata da German Tamame e Simone Cremona, l’altro da quella composta da Michele Bruno e Andre Britos.
Illustrazione di Resli Tale
In undici edizioni è la prima volta che l’Italia conquista l’oro nella rassegna continentale a squadre. Lo ha fatto senza perdere nemmeno una partita in tutto il torneo. I ragazzi di Spector erano partiti per vincere, ma non era assolutamente scontato che ci riuscissero malgrado l’assenza di due corazzate come il Portogallo e la Spagna. Nel 2018 Luigi Carraro, figlio di Franco e numero uno del Club Italia, è diventato presidente della Federazione Internazionale Padel, battendo alle elezioni il portoghese Ricardo Da Sila Oliveira. Da allora ci sono stati alcuni problemi di natura politica. “Il Presidente della Federazione del Portogallo ha perso – spiega Spector – e ha fondato una Federazione europea che non esisteva, convincendo la Spagna a seguirlo. La sua tesi, non vera, è che Carraro voglia portare a livello internazionale il padel sotto la federazione del tennis perché in Italia il nostro sport è nella Fit”. E sul campo? “Ammetto che con la Spagna sarebbe stato impossibile vincere, ma con il Portogallo ce la saremmo sicuramente giocata”.
Ma perché il padel in Italia sta avendo questo successo, coach? “Io sono arrivato a Milano nel 2001 e da allora sembra sia passata un’èra geologica. Nel 2015 ho tenuto dei corsi di padel a istruttori di tennis in giro per l’Italia. Mezza giornata di lezione voluta dalla Fit: in 12 regioni su 15 non sapevano che cosa fosse questo sport. Ora i praticanti sono circa 50 mila, questo è uno sport perfetto per l’amatore che predilige l’aspetto ludico. È diverso dal tennis ed è il segreto di questo sport, per certi versi molto più simile al calcio a 5. Chi non ha mai giocato a calcetto? Bene, male o in porta: è per tutti. Il calcio invece è un’altra cosa. Stesso rapporto tra il padel e il tennis. Il padel è facile, la gente si diverte subito. Tutto questo è magico. Finito di giocare se al circolo c’è il bar, ci si ferma sempre a bere una birra o a mangiare un pezzo di pizza. Lo squash invece è ancora più difficile del tennis. Anche a livello fisico. Nel tennis una partita di doppio la gioco anche con mio zio che ha 70 anni, nello squash è impossibile”.
Il padel ha compiuto in questo 2019 cinquant’anni. Nel 1969 il messicano Corcuera voleva costruirsi nella sua villa di Acapulco un campo da tennis, ma a lavori iniziati si è accorto che qualcosa non tornava. C’era un muro che dava fastidio e che non poteva essere buttato giù. Ne fece allora costruire altri tre. Giocando con delle padelle a mo’ di racchetta, era nato un nuovo appassionante sport. La regola più divertente è proprio quella per cui se la palla rimbalza sui muri di fondocampo può comunque essere colpita dalla racchetta. Corcuera si divertiva a giocare sul suo campo con gli amici e uno di questi nel 1974 volle portare il padel a Marbella in Spagna. Qui i turisti argentini impararono ad amarlo e lo fecero diventare uno degli sport preferiti nel paese sudamericano. Nell’albo d’oro dei mondiali Argentina e Spagna hanno ottenuto più vittorie di tutti.
Foto tratta dalla pagina Facebook del FIT Padel
Gustavo Spector è nato nel 1969 a Tucuman, nel nord dell’Argentina. Inizia a giocare a tennis ed è molto bravo a livello regionale. Come allenatore ha Rafael Gonzalez Bosch, l’avversario più tosto riconosciuto dal campione Guillermo Vilas. “Ho conosciuto Vilas di persona – racconta Spector – lo ho sempre ammirato molto perché nello sport il talento è fondamentale, ma non è mai abbastanza. E lui è stato uno dei primi a dedicarsi allo sport come un professionista”. Prima di conoscere all’età di 21 anni il padel, Gustavo è stato anche un buon giocatore di pallavolo. In Argentina per il padel erano gli anni del professionismo, ma nel novembre 2001 Gustavo capisce che nel suo paese ogni progetto è di difficile realizzazione per la crisi devastante che sta arrivando. Si trasferisce a Milano e oggi è non solo l’allenatore della Nazionale italiana, ma anche l’uomo più importante nella storia di questo sport nel nostro paese.
Un altro valido maestro è Hugo Sconochini. Sì, il campione olimpico ad Atene con la Nazionale argentina di basket. Hugo è arrivato molto giovane in Italia. Dopo una lunga carriera di successo, ha deciso di fermarsi a Milano. È qui che fa ora l’insegnante. Era ancora in attività quando per un torneo di beneficenza misero in mano a lui e al compagno Claudio Coldebella due racchette da padel. Hugo si diverte molto, poi gli bastano alcune lezioni con il connazionale Spector per diventare bravo. “Gustavo dopo un po’ mi fa: ora puoi insegnare ai principianti – racconta Sconochini – credevo scherzasse, invece la proposta era seria e ho detto di sì. Mi piace l’idea di aver iniziato daccapo con un nuovo sport, che mi appassiona moltissimo. Il fatto di aver giocato a pallacanestro a quei livelli mi aiuta in certe cose. Soprattutto per la chiarezza con cui mi approccio agli allievi. Sono sempre diretto e sincero con loro. Io tratto tutti alla stessa maniera, come fossero dei professionisti. Un giorno questa esperienza potrebbe venirmi utile se ricevessi una chiamata per una panchina del basket. Ma per il momento mi diverto troppo così. Tra me e Cambiasso chi vince? Beh io”.
Dei quattro azzurri che hanno disputato la finale europea, due sono italiani nati in Italia, gli altri sono italo-argentini. “All’Europeo le nostre tre coppie – dice Spector – erano tutte formate da un italiano e da un italoargentino. Dei tre oriundi due abitano in Spagna e sono professionisti, il terzo è un ex pro che vive in Italia da tre anni. L’oriundo è fondamentale nella coppia perché dà all’italiano la possibilità di giocarsela contro tutte le squadre più forti al mondo. Per migliorare è importante competere sempre ad alto livello. Se giochi con gente migliore, cresci anche tu”.
A Roma è arrivata in finale anche la squadra delle donne allenate da Marcela Ferrari. Nel gruppo non c’è alcuna oriunda, l’Italia ha perso 3-0 con la Francia.
Un giorno potremmo arrivare ad una Nazionale maschile vincente e tutta italiana? “Difficile dirlo – conclude Spector – Questo dipende da quanto il movimento saprà crescere anche a livello di qualità. Gli italiani nati in Italia che hanno giocato l’Europeo sono cresciuti moltissimo, ma il resto dell’anno? Non sono professionisti e con la vittoria di un torneo slam non ci si paga nemmeno le spese della trasferta. Per certi versi è ancora tutto molto amatoriale. I nostri dovrebbero poter viaggiare per tre weekend al mese e frequentare il circuito pro, non quello italiano. La domanda corretta è questa: quando saremo in grado noi di dare la possibilità ai ragazzi di competere a questi livelli?”.
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