No, la Juve non sbagliava a pensare a Simone Inzaghi per il post-Allegri
A maggio il tecnico era stato bloccato per un paio di settimane dai bianconeri. Poi è arrivato Sarri. Ma la vittoria della Lazio di sabato sera dimostra che l'intuizione iniziale di Nedved e Paratici era giusta
Le statistiche nel calcio non assicurano l'infallibilità, però un aiuto lo danno. E si poteva intuire che la Lazio sarebbe stato un osso duro per la Juventus nel fine settimana: quando una squadra arriva da sei vittorie consecutive, il segnale è chiaro. È in forma, rischi soltanto. E così è stato, per la prima sconfitta stagione in assoluto dei bianconeri. Numeri che, in questo caso, si innestano anche sulla storia, dal momento che raccontano come la Lazio sia sempre stata un'avversaria molto complicata per i bianconeri, anche quando vincevano. Una storia diventata abituale da quando sulla panchina biancoceleste siede Simone Inzaghi.
E pensare che, a maggio, per un paio di settimane il tecnico era stato bloccato proprio dalla Juventus. Una misura precauzionale, in attesa che Maurizio Sarri si liberasse dal Chelsea e che tutti quelli che favoleggiavano di Pep Guardiola si rendessero conto della insostenibilità delle loro convinzioni. Una misura precauzionale ma anche una misura convinta, perché sia Pavel Nevded sia Fabio Paratici conoscono quale siano le qualità dell'allenatore. Il primo è stato suo compagno di squadra nello scudetto laziale del 2000, quello della irripetibile avventura di Sergio Cragnotti e del pantano di Perugia, dove la Juventus affogò all'ultima giornata, consentendo il sorpasso in vetta. Il secondo è amico solido da quando i due sono ragazzi. Amico per interposta persona, visto che il responsabile del mercato bianconero è cresciuto sui campi di calcio con Filippo, il maggiore degli Inzaghi, prima come avversario, poi come compagno di squadra nelle giovanili del Piacenza. Un'amicizia facilitata dall'età e dalle comuni radici: Paratici di Borgonovo e gli Inzaghi di San Nicolò, paesi a una dozzina di chilometri l'uno dall'altro.
Ma la convinzione della coppia bianconera andava oltre i rapporti dello spogliatoio e di legame fraterno. Perché sia Nedved sia Paratici erano convinti che Inzaghi fosse la persona giusta per prendere in mano la squadra dopo il divorzio da Massimiliano Allegri: lo era per la capacità di gestire lo spogliatoio, lo era per la qualità del gioco espresso dalla Lazio. Un atteggiamento offensivo, pronto a mettere in difficoltà l'avversario sul piano del palleggio e della velocità, con la capacità di essere collettivo ed esaltazione dei singoli al tempo stesso. Bravura in panchina cui aggiungere anche la capacità di valorizzare i giocatori secondo le proprie qualità e i propri tempi. Basti pensare a come è maturato un centrocampista come Sergej Milinkovic-Savic, a come è stato valorizzato un fantasista come Luis Alberto, a come è stato rilanciato un attaccante come Ciro Immobile.
Un pensiero durato due settimane poi, quando Inzaghi ha capito che Sarri si sarebbe liberato dal Chelsea, ha giocato come solito d'anticipo, come faceva da attaccante, anticipando i tempi dell'annuncio bianconero, ringraziando il Milan - che lo aveva a lungo preso in considerazione - e rinnovando con la Lazio fino al 2021. D'altra parte il tecnico è sempre stato abituato a raggiungere gli obiettivi con determinazione, andando spesso contro i pregiudizi. Gli capitava da giocatore, quando doveva dimostrare di essere qualcosa in più del fratello minore di Pippo. Gli è capitato da allenatore, quando ha preso in mano la Lazio sostituendo Stefano Pioli, cacciato dopo essere stato travolto in un derby. Arrivava dalla Primavera, aveva saputo ridare un senso alla stagione biancoceleste, ma si era visto retrocedere nei pensieri di Claudio Lotito. Salvo poi tornare il prescelto, dopo che il presidente aveva sedotto e abbandonato Cesare Prandelli ed era stato successivamente vittima dello stesso atteggiamento da parte di Marcelo Bielsa.
Anche da comandante in campo Inzaghi non ha avuto vita facile, ha dovuto dimostrare di non essere un ripiego ma una scelta ponderata. Lo ha fatto con il gioco e con i risultati, portando la Lazio a lottare nelle zone alte della classifica e a vincere nuovamente un trofeo: prima la Supercoppa italiana 2018, conquistata battendo proprio la Juventus, quindi l'ultima Coppa Italia. In questo modo ha saputo crearsi un posto al sole tutto suo, dal 2016 a oggi. E con il terzo posto attuale della Lazio sta dimostrando che la Juventus non sbagliava a pensare anche a lui: Inzaghi ha solo 43 anni, di tempo ce ne è ancora tanto, ma occorrerà fare in fretta.
Il Foglio sportivo