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il foglio sportivo – tifare contro

Modello inglese o tedesco per gli ultras? In Italia nessuno dei due

Giovanni Francesio

Nei nostri stadi l'ordine pubblico è ormai completamente delegata alle questure. Con risultati pessimi, si pensi a quanto accaduto a Torino

In Europa esistono due modelli che funzionano, nei limiti del possibile, per quanto riguarda la gestione del pubblico degli stadi, del tifo, della sicurezza intorno alle partite di calcio.

 

Il primo, citato sempre, quasi sempre a vanvera, è il modello inglese, originato da un radicale ripensamento di tutto il “sistema tifo” britannico, seguito al disastro di Hillsborough (1989), e che trovò la sua formalizzazione, e successiva messa in atto, nel “Taylor Act”, una serie di provvedimenti legislativi che si basavano su un presupposto molto chiaro: “Se non volete che si comportino da bestie, smettete di trattarli come tali”. Erano i primi anni Novanta, e il calcio inglese aveva toccato, da tutti i punti di vista, il suo punto più basso. In seguito al Taylor Act furono riprogettati e ricostruiti tutti gli stadi: un investimento colossale, in gran parte a carico dei club, che ha portato agli “stadi-teatro” della Premier League di oggi, e al conseguente splendore del calcio inglese. Impianti bellissimi, carissimi, controllatissimi, che hanno “imposto” una selezione naturale del pubblico, portando allo stadio i ceti medio-alti, e pian piano escludendo quelli popolari. Gli hooligans sono sostanzialmente scomparsi, e in ogni caso il sistema di sorveglianza è talmente efficace che chi, come poche settimane fa a Manchester, si lascia andare a comportamenti violenti o razzisti, viene identificato, neutralizzato e sanzionato nel giro di pochissimo tempo.

  

Poi c’è il sistema tedesco, che in comune con quello inglese ha avuto alla base la ristrutturazione degli impianti realizzata per i Mondiali del 2006, ma che per tutto il resto è molto diverso. In Germania, infatti, si è deciso, attraverso la politica dei prezzi bassi e delle “standing areas” (i settori dove si sta in piedi), di salvaguardare la componente più popolare, e più giovane, del pubblico, che tra l’altro da ormai una quindicina d’anni ha come esplicito punto di riferimento gli ultras italiani. Ma anche in Germania, come in Inghilterra, vige il principio della responsabilità individuale, e gli stadi e le forze dell’ordine sono attrezzati in modo da poter perseguire i singoli, e non “le curve”, in generale, come succede in Italia.

  

In entrambi i casi, è evidente, alla base di tutto c’è stata una decisione e una strategia squisitamente politica, cosa, purtroppo, a noi italiani preclusa, visto che la politica, non solo quella sportiva, in Italia non c’è più. Per cui non esiste un pensiero comune, non esiste una strategia condivisa, non esiste un piano di investimenti generalizzato, né una politica di prezzi e di marketing. Ognuno fa quello che gli pare, e la gestione non dell’ordine pubblico, che è altra cosa, ma del pubblico, è ormai completamente delegata alle questure: i risultati sono quelli che stiamo vedendo in questi giorni a Torino, con tutte le associazioni di tifosi (non ultras) del Toro che chiedono le dimissioni del questore per la sconsiderata gestione della curva Primavera dello stadio Olimpico Grande Torino. Ma è così ormai da anni, anche se tendiamo a far finta di niente: è uno sfibrante susseguirsi di provvedimenti difformi, decisioni contraddittorie, repressioni ridicole e rovinosi lassismi, il tutto coperto da una coltre ormai impenetrabile di frasi fatte e luoghi comuni. Dicono di voler cacciare i violenti e i razzisti dagli stadi; alla fine riusciranno a cacciare tutti, tranne i violenti e i razzisti.

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