Alex Caruso, il Normal One dell'Nba
Più che un cestista sembra un ragioniere. In Nba è arrivato dalla porta di servizio. Ma con la canotta dei Lakers è decisivo. “Ci dà tutto quello di cui abbiamo bisogno”, ha detto di lui LeBron
Non ha nulla del giocatore di basket, neppure quando indossa la mitica maglia giallo viola dei Los Angeles Lakers. Alex Caruso assomiglia di più al ragioniere della porta accanto che a un compagno di squadra di LeBron James. Sarà per i capelli, radi come i fili d’erba su un campo di periferia. Sarà per il fisico che, altezza a parte (196 cm), non ha nulla di eccezionale. Ma Alex Caruso non sembra proprio un giocatore da Nba che ha appena firmato un biennale da 5,5 milioni di dollari. Eppure sta diventando un idolo. In Italia è già nato un gruppo Facebook per lui. In America è diventato una star dei social ed è pure finito sui muri di Los Angeles là dove di solito i murales erano dedicati a Kobe, LeBron o Kawhi Leonard. Gustavo Zermeño, l’artista che ha trasformato in business queste opere, lo ha ritratto mentre schiaccia in testa a Harden, Doncic, Leonard, Booker e Murray. Perché pur con un fisico normale, se paragonato alla media della Nba, Alex ogni tanto si permette qualche azione spettacolare. C’è in rete un video imperdibile con LeBron che in panchina fa la faccia di chi ha appena visto un asino in volo sopra lo Staples Center dopo aver assistito alla prima schiacciata al volo di Caruso contro i Warriors lo scorso anno quando ancora non aveva un contratto vero, ma andava e veniva dalla G-League a 7 mila dollari lordi al mese.
Come è impagabile il video di qualche settimana fa quando Caruso è in panchina microfonato e, complimentandosi con LeBron dopo il canestro che lo ha portato a superare Michael Jordan, gli si avvicina, gli stringe la mano e gli dice “Hey, what’s up, man? I’m Alex”…“Come va man? io sono Alex…”, come per presentarsi a sua maestà.
Da quelle notti però di tempo ne è passato e oggi LeBron regala dei no look che mandano Alex ad affondare il pallone a canestro, tanto che una sua schiacciata contro Miami è stata eletta “dunk of the night”. LeBron non si stupisce più e gli si scaraventa addosso in quell’esercizio chiamato chest bumps in America, cioè l’esultanza petto contro petto. Peccato che Caruso abbia poi dovuto dire: “Deve stare attento. Non si rende conto che ha 30 chili in più di me. Ma in quei momenti siamo tutti e due gasati e quindi non ci pensiamo”. Lo dice in tv, lo ripete su Twitter dove si presenta come @ACFresh21 e i followers si impennano. I tifosi lo amano perché ci mette l’anima. Soprattutto in difesa, tanto che Frank Vogel, il coach dei Lakers, lo ha pubblicamente incensato definendolo “un difensore stellare”. Potremmo definirlo il Cerella della Nba, con la differenza che a Bruno basta uno sguardo per far innamorare fiumi di ragazze. Su quest’aspetto Alex, che a febbraio compirà 26 anni, deve ancora lavorare. Ma stando a Hollywood non ci metterà molto, anche se lui si sente il meno hollywoodiano dei Lakers: “Non sono per niente un tipo alla Hollywood: penso di adattarmi meglio a un mercato come San Antonio, Charlotte o Milwaukee, dove la gente tiene un profilo più basso. Invece mi sono ritrovato a Los Angeles, ma non mi lamento di certo: è divertente”.
Si è divertito anche quando, qualche mese fa, la Nba lo ha sottoposto a un test antidoping a sorpresa dopo aver visto in rete certe sue fotografie dopo il camp estivo. Sembrava un piccolo Hulk. Peccato che qualcuno le avesse ritoccate. La Lega, prima di capirlo, ha spedito i suoi medici a Los Angeles. Ovviamente non hanno trovato nulla. Neppure un capello fuori posto…
Il ragazzo che doveva presentarsi a sua maestà LeBron anche se era suo compagno di squadra, oggi fa collezione di soprannomi: “The bald eagle” (L’aquila calva), “The CaruShow”, “The Bald Mamba” in omaggio al vero Black Mamba Kobe Bryant, il decisamente eccessivo “CarusGod”. Lui si spiega tutta questa attenzione con semplicità: “Credo ci siano due ragioni – ha detto al Los Angeles Times – la prima è che gioco dando il massimo ogni serata, e la gente lo apprezza; la seconda è che sembro una persona normale, e la gente si identifica in me facilmente. È divertente, perché io mi sento davvero una persona normale, non il giocatore che gioca per i Lakers”.
Le origini sono chiaramente italiane, ma di italiano la famiglia non ha più nulla da tempo anche se Alex una vacanza al mare dalle parti di Sorrento l’ha pure fatta. Purtroppo per Meo Sacchetti ha già vestito la maglia della nazionale statunitense ai premondiali e quindi non è più eleggibile per l’azzurro. Peccato, perché sarebbe venuto utile uno con la sua grinta in un roster azzurro che ha un assoluto bisogno di ringiovanirsi. Qualcosa di europeo deve comunque essergli rimasto nel sangue, vista la sua passione per il calcio, il suo tifo per il Manchester City che lascia emergere dai social.
In Nba è arrivato dalla porta di servizio, scartato al Draft 2016, si è presentato al camp estivo di Philadelphia senza convincere nessuno. È così ripartito da Oklahoma, ma i Thunders lo hanno dirottato in G-League con i City Blue, in pratica la squadra B. In estate si è messo in mostra in Summer League con i Lakers, vincendola pure, ma riuscendo solo a ottenere un contratto aperto con cui giocare in G-League con i South Bay Lakers ed essere pronto per la prima squadra in caso di bisogno. Cosa che è capitata 62 volte in 2 stagioni convincendo i Lakers a fargli firmare un biennale a luglio. “Sono cresciuto in un ambiente religioso e so che nulla succede per caso. Ripartire dalla seconda Lega mi ha fatto bene, mi ha permesso di lavorare su di me anche dal punto di vista mentale. La sensazione di aver firmato un contratto garantito per me è ancora surreale. Me ne rendo conto solo quando parlo con i miei genitori, coi miei amici di sempre: quando pronuncio ad alta voce quelle parole – ho firmato per 5.5 milioni di dollari – è una bella sensazione”. Non è mai stato tra le scelte Nba, anche se era stato tra i protagonisti di una delle tante favole che vengono scritte nel torneo Ncaa, quello delle università. Stagione 2016, Caruso gioca con la maglia di Texas A&M, gli Aggies. Segna 25 punti in quella che lui chiama la “La più grande rimonta di sempre” quando Texas A&M, in ritardo di 12 punti a 44 secondi dalla fine contro Florida recupera e poi vince di 4 al supplementare. Ci ha messo del tempo a trovare un posto fisso e le parole dolci di LeBron James: “Alex ci dà tutto. Ci dà una gestione stabile della palla, una solida presenza difensiva, ci dà intelligenza cestistica e tanta grinta. Tutto quello di cui abbiamo bisogno”, ha detto il Re a Lakers Report. Parole sottoscritte da Anthony Davis, un altro che non ha bisogno di presentazioni nel mondo delle stelle. Alex sa di non essere una stella, di aver giusto il colore della maglia in comune con quei due. Ma ormai non ha più bisogno di dire “ciao, sono Alex” quando li incontra nello spogliatoio. E soprattutto ha saputo conquistare un pubblico vip e esigente come quello di Los Angeles.
C’è su YouTube un filmato in cui anche Rihanna seduta in prima fila gli lancia un’occhiata che dice tutto. Lui si diverte come un matto in campo e sui social.
Si è messo anche a tirare bene da 3 punti: quando riesce a farlo libero segna col più del 53 per cento di media. “Merito dei raddoppi su LeBron: tirare libero in transizione aiuta”, commenta con il sorriso di un ragazzino che entra in un negozio di giocattoli con mamma e papà che devono farsi perdonare. La sua partita della vita, per ora, è il derby coi Clippers della scorsa stagione: quel 5 aprile non lo scorderà mai: 32 punti, 10 rimbalzi, 5 assist. Unico Lakers a parte LeBron a segnare più di 30 punti in una stagione non proprio memorabile per la franchigia in ricostruzione attorno al Messia. È un giocatore da meno di 20 minuti a partita con statistiche che parlano di 5,1 punti 1,9 rimbalzi e 1,9 assista a gara. Cifre che non permetterebbero di uscire dall’anonimato, ma non sempre l’apporto di un giocatore si misura dai numeri. Lui fa spesso la cosa giusta nel momento giusto e non solo nel “garbage time”, i minuti inutili a partita decisa. E poi ci mette il cuore, cosa che moltiplica le sue statistiche. Aggiungeteci che, come scrive Bleacher Report, è il giocatore preferito su Internet, addirittura “the champion of the people”. E avrete la spiegazione del perché the insurance salesmen, il più cattivo dei soprannomi che lo definisce venditore di assicurazioni, si sia conquistato un posto in prima pagina nella squadra di LeBron.
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