Da solo a circumnavigare il mondo. Giancarlo Pedote verso il Vendée Globe

Il navigatore fiorentino sarà l’unico italiano al via della competizione che veleggerà attorno al globo e non prevede né attracchi, né assistenza

Giorgio Coluccia

Adesso scruta l’orizzonte e intravede la più grande sfida della sua carriera da velista. Ma non chiedetegli una rotta precisa, lontano dall’acqua non è mai stata una priorità. Giancarlo Pedote ha preso il largo dalla sua Firenze, che un mare non ce l’ha, si è laureato in filosofia con il massimo dei voti ed è partito da un ring di provincia, tra guantoni e cazzotti. Solo dopo è arrivato il windsurf, con l’amore per la vela e l’adrenalina delle navigazioni in solitaria. Ora vive in Francia, vicino a Lorient, affacciato sull’Oceano Atlantico, “dove si incontrano i velisti di tutto il mondo”. La testa è già rivolta alla regata in barca a vela per eccellenza, il Vendée Globe, noto come l’Everest dei mari per la sua durezza e che come il Mondiale di calcio si disputa ogni quattro anni. La qualificazione per il 2020 è ormai cosa fatta, sarà l’unico italiano al via della circumnavigazione completa del globo, che non prevede né attracchi, né assistenza.

 

Prima di tutto, una dura prova di resistenza individuale: “Quest’anno ho terminato tutte le regate previste, ho accumulato le miglia qualificative che volevo, ma quello sarà un giro del mondo e non so cosa aspettarmi - racconta lo skipper toscano - per tre mesi ti ritrovi su una barca da solo, lontano da tutti. So cosa lascerò a casa, mia moglie e i due bambini, e non so cosa troverò in mezzo all’oceano”. Arrivo e partenza saranno dal porto francese di Les Sables-d’Olonne, nel dipartimento della Vandea. Poi giù per l’Atlantico fino al Capo di Buona Speranza, svolta a est lungo tutto l’Antartide passando davanti all’Australia e al Sudamerica. Superato Capo Horn, nuova risalita verso le coste francesi. Si parte l’8 novembre 2020, in modo che i mari Antartici vengano solcati durante l’estate australe. I primi arrivi sono previsti verso la metà di gennaio, visto che nell’ultima edizione Armel Le Cleac’h ha siglato il nuovo record (74 giorni, 3h, 35’,46’’). Ma le ultime imbarcazioni ad arrivare potrebbero attraccare addirittura a marzo, restando così oltre 120 giorni in mare aperto, fronteggiando stress, imprevisti e problemi di salute, con un medico di gara disponibile solamente in via satellitare.

 

Nell’edizione 1996-97 il canadese Gerry Roufs scomparve dai radar e non fu mai più ritrovato. Sette anni fa lo spagnolo Javier Sanso si ribaltò. Nell’ultima edizione il francese Kito De Pavant ha dovuto abbandonare la barca dopo aver impattato contro un capodoglio, un cetaceo di quasi venti metri per quaranta tonnellate. L’ammissione alla regata avviene solo previa idoneità a corsi di sopravvivenza e pronto soccorso, per Pedote l’abitudine a certi standard vuol dire tanto: “Le miglia qualificative servono come preparazione, come tempra, anche per affrontare le difficoltà più inaspettate. A lungo andare per esempio l’alimentazione può diventare un problema, a bordo si mangia solo cibo liofilizzato. Non una settimana, immaginate di farlo per tre mesi! Abbiamo un piccolo fornellino, scaldiamo l’acqua e l’aggiungiamo al cibo che si reidrata in venti minuti. Spesso alla partenza si fa la scorta di frutta, ma non abbiamo dietro un frigo ed è difficile che duri più di una settimana. Per non parlare del sonno, stando da solo non puoi nemmeno fare i turni e cerchi di riposare quando possibile. Una mezz’ora qui, una lì, se riesci a fare due ore filate è anche troppo. Devi badare alle previsioni meteo, a tenere la rotta, a riparare eventuali guasti. Non ho mai affrontato il Vendée Globe, ma dalle altre prove che ho sostenuto posso dire che il corpo ne risente moltissimo, ci metti settimane a riadattarti al ciclo biologico, a smaltire l’adrenalina, a dormire bene la notte. Non sono i novanta minuti di una partita di calcio o le due ore di un Gran Premio, queste prove scombussolano tutto. Lasciano il segno”. L

 

’estate per un Giancarlo Pedote ancora ragazzino non erano sabbia e beach soccer, bensì onde, vento e windsurf. Dalla passione è arrivato il professionismo nella vela, come istruttore e come regatante. Poi l’incontro nel 2007 con Prysmian Group, lo sponsor di mille battaglie che l’ha condotto al sogno delle navigazioni in solitaria. Attualmente gareggia con l’ex St Michel Virbac, un Imoca60 del 2015 da otto tonnellate, che appena prodotto costava 4 milioni di euro, quasi quanto una Bugatti Divo da 1.500 cavalli. Al progetto sportivo, Pedote ha affiancato una causa umanitaria e a bordo sfoggia anche il logo della Ong francese “Electriciens sans frontières”, impegnata da oltre trent’anni in progetti finalizzati a fornire accesso all’elettricità e all’acqua alle popolazioni più disagiate. “Mi chiedo cosa faccio io per il pianeta e una risposta l’ho trovata grazie a questa organizzazione - dichiara lo skipper - Sul piano della competizione invece fare il giro del mondo non è un’idea che mi soddisfa a prescindere. Sarò soddisfatto solo se riuscirò a far esprimere al meglio la mia barca ed è una cosa che non puoi prevedere al 100 per cento. Penso agli sport motoristici, dove avere un motore potente e un pilota forte ti avvantaggia parecchio. Nella vela puoi avere la barca più equipaggiata e sicura possibile, ma una volta superata la linea di partenza entrano in gioco troppe variabili. E non sai mai come andrà a finire”. L’esperienza è fin troppo recente, dal momento che il velista fiorentino è da poco rientrato a casa dal Brasile, dove a Salvador de Bahia ha portato a termine la Transat Jacques Vabre. L’ennesima prova di qualificazione è stata però condizionata dal foil danneggiato, a seguito di una collisione con un oggetto non identificato nei pressi di Capo Verde. Tra meno di un anno sarà nel pieno del suo primo temuto Vendée Globe, “Il mare dimenticato da Dio”, dal titolo del libro di Derek Lundy. Vuol dire un Natale nei posti sperduti del mondo, tra i ghiacci dell’Antartide e le infide onde generate dal mix di acque calde del Pacifico e acque fredde dell’Oceano antartico. Meglio starsene alla larga, lo dice anche la saggezza dei vecchi lupi di mare.

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