Coppi è un quadro

I sessant'anni dalla morte del Campionissimo e l'intramontabilità del suo ciclismo. Parla l'artista spagnolo Miguel Soro che all'Airone ha dedicato una mostra

Gino Cervi

Oggi, 2 gennaio 2020, sono passati esattamente sessant’anni da quando, come scrisse Gianni Brera, il leggendario Fausto Coppi da Castellania venne rapito in cielo al pari quegli eroi che «non possono vivere fra noi, al nostro mediocre livello». Aveva poco più di quarant’anni e alle spalle un ventennio di avventure su e giù dalla bicicletta che neppure un romanziere sarebbe stato in grado di pensare e mettere in pagina. Non l’avevano atterrato la guerra, i lutti, gli infortuni, le faccende private diventate scandalo pubblico. Fu stroncato da una febbre, subdola ed esiziale, provocata da una banale malaria contratta poche settimane prima in Africa e, incredibilmente, fatalmente, non diagnosticata dai medici accorsi da qualche giorno al suo capezzale. Nonostante avesse da tempo smesso di essere il celebrato Campionissimo, capace di stabilire un rocambolesco record dell’ora sotto i bombardamenti (1942), di vincere, impresa mai compiuta fino ad allora, Giro e Tour nello stesso anno (1949), e poi ancora una volta (1952), di conquistare, sempre primo nella storia, la mostruosa ascesa dello Stelvio (1953), di sbaragliare il campo degli avversari seminandoli in lunghe fughe vincenti e solitarie come quella della Cuneo-Pinerolo, Fausto Coppi in quell’ultimo scorcio di 1959 rimaneva forse il più celebre campione sportivo vivente. Ancora per poco. Avrebbe smesso di vivere la mattina del 2 gennaio, qualche minuto prima delle 9, dopo una notte di silenziosa agonia.

 

Ma avrebbe continuato a vivere, come le leggende, negli occhi, nel cuore, nelle parole di tutti coloro che, a partire da quel 2 gennaio 1960, sono diventati cultori della sua memoria: avversari e compagni di corsa, semplici tifosi, cronisti, scrittori, musicisti, fotografi. E artisti.

 

Come nel caso del pittore spagnolo Miguel Soro i cui quadri, a dialogare con grandi fotografie scattate dai migliori fotoreporter sportivi dell’epoca – da Liverani a Breveglieri, a Bertazzini e ad altri – sono in mostra, dal 24 ottobre 2019 fino al prossimo 2 febbraio 2020, ad Alessandria, presso il Museo AcdB di palazzo Monferrato.

 

Abbiamo incontrato Miguel Soro e gli abbiamo chiesto come è avvenuto il suo incontro col Campionissimo.

 

«Di Coppi mi è sempre piaciuta la figura. La forma del suo fisico, le gambe lunghissime, le braccia sottili, la sua inconfondibile postura in bicicletta. E poi quella faccia piena di espressione. Ma in realtà è tutto l’insieme che mi attrae di lui. La sua storia, la sua leggenda. Si trova su Coppi un repertorio sterminato di immagini: primi piani, foto di corsa, foto in borghese. Era davvero un personaggio mediatico per i suoi tempi. Mi è sempre piaciuta la sua storia di campione e di uomo. Avevo già messo da parte molto materiale ma poi quando mi hanno invitato a esporre qui ad Alessandria, per il Centenario, ho trovato ancora altre fonti e mi sono messo all’opera. Oggi ho una quarantina di opere che lo ritraggono. In assoluto è il soggetto che ho dipinto di dipinto».

 

Come si arriva a dipingere il ciclismo?

«Il ciclismo è stato, e continua a essere, gran parte della mia vita. Sono nato nel 1976, a Xativa, nella provincia di Valencia. Nella mia famiglia si respirava ciclismo. I miei zii hanno corso in bicicletta, anche se solo come dilettanti: erano però molto forti nella loro categoria. E mi hanno trasmesso la loro passione. Avevo nove anni quando mi hanno regalato la prima bicicletta. A me è sempre piaciuto essere competitivo. Ho iniziato a correre e anch’io ho fatto tutta la trafila delle categorie giovanili. Ho vinto un bel po’ di corse e gli zii impazzivano per me. Mi hanno spinto ad andare avanti, a provare a farlo diventare un mestiere. Non avevo in testa che il ciclismo. Era la mia vita, il mio divertimento. Nel 1994 ho fatto il primo Mondiale juniores su strada, a Quito, in Ecuador, dove ha vinto il mio compagno Miguel Morras. Poi nel 2001 sono passato professionista: due anni con due squadre portoghesi, poi con una squadra metà italiana e metà bulgara. Ho girato il mondo, mi piaceva. Poi però ho deciso di smettere. Ma già prima di questa decisione mi ero appassionato di pittura. Il mio paese, Xativa, ha una lunga tradizione di pittori, soprattutto di pittori di paesaggi. Ero ancora dilettante, ma dipingevo, così, per passare il tempo. Anche in questo caso però ero molto competitivo, e per migliorare la mia tecnica mi sono iscritto ad alcuni corsi. Ci ho preso gusto e ho iniziato a partecipare a concorsi di pittura. Mi guardavo intorno, con curiosità, per vedere come lavoravano gli altri, ma con l’obiettivo di costruirmi una mia idea, un mio stile personale. All’epoca mi piaceva il paesaggio e mi concentravo su quel tema. Ho ottenuto anche qualche soddisfazione, vincendo alcuni premi ai concorsi».

 

E poi come hai portato la bicicletta nei tuoi quadri?
«Era la mia passione e non potevo dimenticarla. Le prime prove però non mi convincevano del tutto. Mi sembrava che quella restituzione in immagine non fosse abbastanza intensa, forte, come era stata forte, almeno per me, l’esperienza di corridore. Alla fine ho trovato nel collage la maniera che mi è sembrata più congeniale per raccontare quel mondo. E quella in cui sapevo di potermi distinguere da tanti altri».

 

Come scegli i tuoi soggetti?
«Mi piace molto la storia del ciclismo. Da piccolo sentivo parlare di tanti campioni, e non soltanto spagnoli: Coppi, Bartali, Anquetil, Merckx, Gimondi, De Vlaeminck… Mi sono sempre piaciute tantissimo quelle storie che mi raccontavano gli zii. E ancora di più le foto del ciclismo. Quando ne vedo una che mi colpisce, su un giornale, su una rivista, la conservo. E poi la disegno a carboncino. Mi piace molto lavorare sul legno, ancora di più che sulla tela. Quando dipingo sono molto fisico, aggressivo. E il supporto del legno è adatto alla mia tecnica. Di solito parto segnando una traccia di disegno sul supporto, e poi proseguo, in contemporanea, ad aggiungere stralci di fotografie così che l’opera cresce simultaneamente, col mio segno e col materiale che porto dentro. Mi piace conservare questo modo di creazione, alternando disegno e collage. È un ritmo che mi viene da dentro e cerco di riprodurlo. Alterno immagini tratte da fotografie, magari pezzi di bicicletta, pedali, selle, manubri, che poi compongo e completo con il mio disegno. Quasi come se me la costruissi da solo, pezzo per pezzo, la bicicletta, o la figura che ho immaginato».

 

Come definiresti il tuo stile?
«Il mio stile è un misto di realismo e di fantasia. Utilizzo anche i pezzi degli articoli come sfondo, come “tessuto cromatico” di contorno. E se posso, utilizzo testi che parlano del soggetto che sto dipingendo, per creare un tutto concettualmente coerente col tema che sto rappresentando. Mi piace collezionare riviste e giornali di ciclismo. Sono il mio modo di acquisire le storie che poi voglio raccontare. E poi anche per avere strumenti che completano il mio disegno. Quando lavoravo in un negozio di bicicletta conservavo tutti i cataloghi dei produttori e anche in quel caso mi sono creato un ampio repertorio di immagini. Ora quando vado alle fiere ciclistiche, mi piace raccogliere materiale pubblicitario. E poi ci sono gli amici che ormai lo sanno e mi tengono da parte i giornali e le riviste che loro butterebbero via.

 

Preferisci rappresentare l’azione oppure i ritratti dei corridori?
«Mi piace rappresentare il dinamismo, l’azione, il movimento. Ma amo molto anche i dettagli, i volti, i particolari… Ad esempio, oltre a Coppi, mi piace tantissimo Bartali. Il suo naso, quell’espressione di forza che esce dai suoi muscoli. Secondo me Bartali e Coppi sono complementari nella loro diversità: non si può capire uno senza la presenza dell’altro. Ho avuto la fortuna di conoscere Gimondi e di realizzare dal vivo un suo ritratto, davanti a lui. Alla fine lo ha firmato. Era una grande figura, un grande campione».

 

C’è qualche soggetto che vorresti dipingere e ancora non l’hai fatto?
«José Manuel Fuente, el Tarangu. Ho molte foto sue, ho una bella collezione da cui cominciare. Mi piace la sua figura, la sua storia. Un vero mito per noi spagnoli, il corridore che aveva il coraggio di sfidare il “Cannibale” e qualche volta anche di batterlo sonoramente in salita. Ma non l’ho ancora fatto. Arriverà il giorno».
  

Che cosa trovi di affascinante nel “ciclismo eroico” che spesso hai raffigurato?
«L’Eroica, e le altre corse che hanno come modello l’Eroica, per me sono una straordinaria fonte di ispirazione. In Luciano Berruti, ad esempio, ho ritrovato la stessa intensità, lo stesso omaggio sincero ed eterno alla passione per il ciclismo che incontro quando dipingo i grandi del passato. Ma a parte questo mi piace proprio la filosofia del ciclismo eroico. È un ciclismo rilassato, curioso, che accetta le sfide ma senza esasperazione, che ha il piacere di condividere la passione senza l’ansia di fare il risultato, la performance. Mi ritrovo sempre volentieri agli appuntamenti come l’Eroica, la Chianina, la Lacustre, perché so di trovare degli amici che la pensano come me, e in più incontro gente che apprezza il mio lavoro. Con rilassatezza, col piacere estetico della strada, del paesaggio, del buon vivere. E della compagnia affettuosa».

 

Miguel Soro parla un italiano meraviglioso, sonoro e pieno di colore e di forza come le immagini dei suoi quadri. Attorno gli gira trotticchiando Alejandra, la sua piccolissima bimba che ha gli stessi suoi occhi vivaci sul mondo. C’è da scommettere che tra qualche anno anche Miguel racconterà ad Alejandra le favole di Fausto e di Gino e di tutti gli altri, Tarangu compreso. E sarà così che la loro leggenda continuerà a vivere ancora tra vent’anni, o forse cento.

 


  

SCATTI
FAUSTO COPPI E I SUOI FOTOGRAFI E UN DIALOGO CON LE OPERE DI MIGUEL SORO
24 ottobre 2019 – 2 febbraio 2020
Museo ACdB, Palazzo del Monferrato, Alessandria, via San Lorenzo 21 (www.acdbmuseo.it)
Orari di apertura: venerdì: 16-19; sabato e domenica: 10-13 e 16-19
Orari di prenotazione per le scuole: martedì, giovedì e venerdì: 9-13
Biglietti: 5 euro intero, euro 3 ridotto (comprensivi di visita al museo).

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