Pazzini e Pandev, il calcio è un mestiere per "vecchi"
La prima giornata del 2020 riporta alla ribalta due volti familiari della Serie A. Gente che, puntualmente, riemerge come un fiume carsico quando è il momento di lasciare un segno
Nei momenti di difficoltà ci si aggrappa agli anziani, siano essi un padre della patria cui affidare le sorti di un Paese in confusione o un nonno cui chiedere qualche ora del suo tempo per stare con il nipotino. Il calcio non fa eccezione, soprattutto in Italia. Hai un bel parlare di strade sbarrate ai giovani, ma quando le situazioni diventano tese gli allenatori preferiscono sempre battere le piste più conosciute, affidandosi a chi è da più tempo nel calcio: vuoi perché sul campo sa trovare una soluzione a un problema, vuoi perché nello spogliatoio determina clima ed equilibri di un gruppo. La prima giornata del 2020 ha così riportato alla ribalta due volti familiari come quelli di Giampaolo Pazzini e Goran Pandev. Gente che, puntualmente, riemerge come un fiume carsico quando è il momento di lasciare un segno.
Pazzini, quindi. Domenica ha ritrovato un gol su azione che mancava da maggio. Ha colpito secondo abitudine, punendo un errore avversario, peculiarità che ne ha fatto il perfetto attaccante d'area fin dal suo apparire nel 2003. Il centravanti è figlio del florido centro sportivo di Zingonia, dove l'Atalanta cura con amore quello che è il miglior vivaio d'Italia. Pazzini non ha ancora 20 anni, Andrea Mandorlini dà fiducia a lui e a un altro ragazzino, Riccardo Montolivo, di un anno più giovane. I due sono fondamentali per la promozione in serie A. Insieme nell'Atalanta, insieme due anni dopo nella Fiorentina, dove firmano le migliori pagine della gestione Della Valle, con Cesare Prandelli in panchina. Lo stesso capita alla Sampdoria, dove Pazzini incrocia il talento rinato di Antonio Cassano, riportando nel 2009 i blucerchiati a un primo posto che mancava da vent'anni e a una insperata qualificazione ai preliminari di Champions League, con eliminazione per mano del Werder Brema. Un'avventura che segna in negativo il destino dei liguri: a gennaio la squadra viene smantellata, Pazzini si ritrova prima all'Inter e poi al Milan, dove torna a far coppia con Montolivo fino al 2015, quando si lega al Verona dopo un eccesso di panchine in rossonero.
Quella con i veneti è una storia di alti e bassi che dura fino a oggi. A una immediata retrocessione, segue la promozione nel 2017 con il record di gol in carriera (23). Torna in serie A, il tecnico Fabio Pecchia gli fornisce una singolare motivazione per scaricarlo: “Dovremo difenderci, partirai più spesso in panchina”. Quanto basta per accettare a gennaio il prestito con il Levante in Spagna, dove si toglie la soddisfazione di segnare al debutto nel 2-2 con il Real Madrid e di battere 5-4 il Barcellona. Torna nell'estate e ritrova un Verona ovviamente in B, viste le idee di Pecchia. Cercano di venderlo a causa dello stipendio alto, il tentativo fallisce. Fabio Grosso lo mette in panchina, lui riconquista la scena aspettando il suo momento e, soprattutto, l'esonero dell'allenatore a una giornata dal termine della regular season. Ai playoff Pazzini segna la doppietta al Perugia e contribuisce al ritorno in serie A. A 35 anni non può pretendere una maglia da titolare fisso, si accomoda in panchina e attende una chiamata, come la mezz'ora che Ivan Juric gli concede con il Torino. La situazione è disperata, il Verona sta perdendo 3-0 in casa. Il centravanti trasforma il rigore del 3-1 e avvia la rimonta fino al pareggio finale. E anche quando parte dall'inizio, ritrova la verve dei tempi migliori, come il colpo di testa di domenica che ha aperto la strada al successo in trasferta sulla Spal, risultato che avrà un peso fondamentale nella lotta salvezza.
Goran Pandev di anni ne compirà 37, a luglio. In patria è un monumento vivente, per il record di presenze e gol in quella che oggi conosciamo come Macedonia del Nord. In Italia è una presenza familiare dal 2001, quando l'Inter ci riprova con un macedone, convinta che ci possano essere vita e calcio oltre Darko Pancev, incautamente messo sotto contratto nel 1992 per un pentimento pressoché immediato: una sentenza nella Stella Rossa, una sciagura in Italia. Lo prende senza però crederci fino in fondo: qualche prestito e poi la cessione nel 2004 alla Lazio, da dove Pandev rientra nel 2010, in tempo per prendere parte al triplete con José Mourinho e diventare campione del mondo con Rafa Benitez. Maglie da titolare e ingressi dalla panchina si equivalgono, in nerazzurro prima e al Napoli poi resta il giocatore da buttare dentro per far respirare la squadra oppure cercare nuove vie in area. Lo stesso avviene al Genoa, che lo riporta in Italia nel 2015. Arriva dal Galatasaray, dove quattro presenze sono bastate per mettere in bacheca campionato e Coppa di Turchia. In rossoblù l'obiettivo è stare a galla, oppure tornarvi. Davide Nicola si affida a lui per il debutto in panchina, terzo allenatore di una tormentata stagione. Pandev lo ripaga con un gol tanto casuale (un rimpallo sulla testa, con l'attaccante praticamente disteso lungo per terra) quanto fondamentale per il 2-1 sul Sassuolo: “Quando sei in una situazione così ci vuole un po' di esperienza”, la sua lapidaria verità finale.