Antonio Conte e Fabio Capello (fotoelaborazione Il Foglio)

Il contropiede, obtorto Conte

Alessandro Bonan

Nella disputa tra il tecnico dell'Inter e Capello c’erano argomenti interessanti banalizzati da toni sempre troppo estremi. In sostanza, i due dicono la stessa cosa eppure si accapigliano

E se il contropiede fosse un’estremità rivolta al contrario? Non andremmo né avanti né indietro. Un passo annullerebbe l’altro e si starebbe fermi chissà per quanto tempo. Ma per fortuna non è così. Il contropiede nel calcio è una forma di progressione, la più veloce che si conosca da quando esiste questo sport. Pochi passaggi e hop, siamo già dall’altra parte, magari in porta, esultando per un gol. E allora perché tutta questa vergogna nel discutere di un modo tanto efficace di giocare a pallone? Risposte sicure non ce ne sono, ma viene il dubbio di essere entrati nel pieno di una tempesta ideologica. Tornata in voga dopo anni di sacchismo sfrenato dove se non eri come lui facevi la figura del retrogrado. E così adesso. Nella disputa Conte-Capello c’erano argomenti interessanti banalizzati da toni sempre troppo estremi.

 

L’Inter gioca in tante maniere. Pressa alta, a tratti si abbassa per respirare, accetta sovente con coraggio l'uno contro uno. Ma è in contropiede che si esprime al meglio, se intendiamo per questo la definizione che troviamo della parola su qualsiasi vocabolario: “contrattacco rapido e improvviso effettuato mentre la squadra avversaria è proiettata in avanti”. La squadra di Conte fa esattamente questo, ruba palla e contrattacca rapida. Già ma dove accade tutto ciò? In quale zona del campo? E’ sulla risposta a questa domanda che Conte e Capello si allontanano, o meglio non si capiscono. Conte identifica il contropiede come una logica conseguenza del catenaccio, tutti indietro come un muro e, sul rimbalzo, sgommata delle due pantere: Lukaku e Lautaro. Capello invece non si interessa del dove, ma si concentra soprattutto sul come. Avanti o indietro che sia, ciò che conta per l’ex allenatore della Roma, è la furia con cui l’Inter strappa la palla agli avversari e immediatamente verticalizza verso le due punte. In sostanza, i due dicono la stessa cosa eppure si accapigliano (o “accapellano”). Dove si nasconde l’avversione? Al centro di un mega pregiudizio ideologico: che solo chi tiene a lungo il possesso del pallone, faccia del bene allo spettacolo. Cosa che non solo è smentita dai fatti (l’elenco è lungo) ma anche dai canoni della normale estetica, visto che cento passaggi per arrivare al tiro non è detto che siano più divertenti di quattro fatti bene. Conte con il possesso palla c’entra poco e Capello anche. Si tratta, probabilmente, di smarcarsi dall’accusa di essere un difensivista. Ma nessuno ha pronunciato mai quella parola, in questa storia. Però il pregiudizio, come il vento, scorre veloce e spesso altera le coscienze, rendendole vagamente guardinghe e sospettose. E in quel sospetto nasce iI bisogno di chiarire l’alcunché. Obtorto Conte.

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