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il foglio sportivo – il ritratto di bonanza

Ibrahimovic, l'odore del santo

Alessandro Bonan

Al Milan lo svedese è tornato cambiato, un uomo di mondo, meno arrogante e più consapevole

Bisognerebbe inventare un magnetometro dello sguardo per capire la forza di una persona. In questo caso la potenza di Ibrahimovic, il dio che salvò la squadra dalle acque agitate del mare. Ibra scatena tempeste magnetiche intorno ai suoi occhi, che guardano fissi dentro l’orizzonte, concentrati sul reale, sul da fare, scavando dentro le coscienze, scardinandole, sollevando certezze, scaraventando i dubbi proprio in fondo al mare. Scortica la pelle morta, quella che non serve più, e ti lascia come un serpente al sole, pronto a godersi il calore e a colpire per difendersi nel caso fosse necessario. È tornato cambiato, un uomo di mondo, meno arrogante e più consapevole, davvero una specie di Cristo laico, prima della croce. Fa proseliti, carismatico e portavoce di verità. Si alimenta della sua leggenda che noi sappiamo essere tale, come tutte le fantasie del calcio, belle in quanto esagerate, volutamente eccessive. Mangia se stesso ma poi si rende utile, giocando a calcio in modo essenziale, senza troppi salti, piroette, giochi di gambe. Asciutto nel fare come nell’essere, anche se il fisico, dopo l’assenza prolungata, è un po’ cambiato in altezza. Ibra infatti, effetto ottico del suo ascendente, pare addirittura cresciuto, come se il tempo per lui non si fosse mai fermato, adulto in piena età dello sviluppo.

 

Il Milan è tornato a esistere da quando ha scoperto che “Dio c’è”. Nella sua entrata a san Siro, si è solo manifestato, una specie di bagliore dentro uno scetticismo secolare, ma in breve tempo, in mezzo al mare di Sardegna, ha dato prova della sua esistenza miracolosa e per questo salvifica. Pioli, barbuto come un Padre Pio, si è consegnato, santo allenatore, alla prodigiosa facoltà di un uomo risorto. Ibrahimovic si era autoescluso in un prematuro decesso americano, frutto dell’ambizione di conoscere l’altra parte del mondo o di una bizza familiare, non è chiaro né interessante. Il nostro calcio nel frattempo rallentava, quasi fermandosi. Il Milan si bloccava, cadendo. Si, c’era ancora spazio per un uomo maturo, meno spavaldo e pimpante, ma ancora in grado di spostare l’attenzione oltre che il gioco. Perché il ritmo è cambiato, si balla un tango lento nel nostro campionato. Se vuoi sembrare un metallaro devi guardare all’Inghilterra. In questa sintesi, tra immagine, riflessi, letteratura, gioco, suggestioni, la forza di Ibrahimovic è in grado di far uscire il Milan dalla modesta festicciola con patatine flosce e Coca Cola senza bollicine, in cui si era irresponsabilmente infilato. E di portarla sull’altare, in una chiesa sconsacrata ma dove si sente ancora l’odore del santo.

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