il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
La diversità tra Premier League e Serie A sta nel tocco
Chi sostiene che in Inghilterra si giochi bene solo perché tutto scorre veloce sbaglia. È anche e forse soprattutto una questione di tecnica. Il ritardo dell'Italia (anche se qualcosa da un po’ di tempo si muove). Si pensi a Castrovilli
Si fa una certa confusione quando di mezzo c’è la Premier League. La parola speed, velocità, si mangia tutto il resto del vocabolario e noi, poliglotti deboli, andiamo in affanno. Il malinteso si sta propagando in fretta, frutto di una scarsa attitudine, non solo a conoscere l’inglese, ma anche a proteggersi dalle apparenze. Sono in tanti infatti a sostenere che in Premier League si giochi bene solo perché tutto scorre veloce. È vero, basta non subalternare la destrezza alla rapidità. Il che sarebbe un abbaglio, una lama di luce sottile, ma luccicante il giusto per mandarci fuori strada. Senza tecnica non esiste la giocata; o meglio esiste il calcio, ma non la sua espressione funambolica.
In Inghilterra si allena la squadra a esprimersi veloce, con sedute durante la settimana fatte di partitelle con il coltello tra i denti. Le sfide sono duelli costanti, testa a testa, e scambi essenziali. Sia nel primo caso che nel secondo, una sviluppata tecnica è la base del successo, altrimenti accade poco o nulla. Senza dribbling l’uno contro uno è una forma di suicidio, un po’ come trovarsi davanti a Indiana Jones e pretendere di batterlo a colpi di schiaffoni. Senza capacità di tocco, lo scambio rapido finisce come una poesia senza rima: non si chiude. Quindi puoi giocare veloce solo se possiedi il pieno controllo del pallone. In Premier si va in porta di prima. Uno due tocchi al massimo, ma per farlo devi essere un ottimo calciatore. La differenza la fa la qualità e non la forza. Il calcio inglese di una volta assomigliava al tiro al piccione, la palla viaggiava per aria molti minuti, gli si sparava a vista e tutto era poco elegante. Al massimo, parlando di selvaggina, il fagiano-pallone si presentava dietro grandi cespugli e il centravanti si metteva di punta, come un cane Pointer, non per nulla inglese. Aspettava il momento giusto e poi partiva. C’era un senso del prevedibile che rendeva lo spettacolo un po’ noioso e ripetitivo. Il riscatto nasceva dalla tradizione, infarcita di retorica da pub. Ma in quanto al gioco se ne vedeva poco.
Oggi è cambiato il vento, e la spinta di un Inghilterra fuori dal comune europeo, si manifesta nel calcio attraverso uno spettacolo unico e piuttosto (chissà perché) inimitabile. Quello che ci manca in Italia, è un ritorno alle vecchie abitudini. Cerchiamo la potenza e ci dimentichiamo della tecnica, anche se qualcosa da un po’ di tempo si muove. Basta vedere la Nazionale di Mancini, fondata sulla gioventù spensierata dal tocco morbido. E basta osservare un ballerino apparentemente fragile, lento e illuso. Si chiama Castrovilli e danza sul pallone. Quando volteggia sembra sparire nel nulla, invece cambia da solo la direzione della musica. Perché anche questo è il calcio, l’idea che ciò che appare, non sempre sia.