Foto tratta dalla pagina facebook @festivaldisanremo

il foglio sportivo

Canzoni e palloni. Quando Sanremo diventa San Siro

Giampiero Timossi

Il legame stretto tra sport italiano, Liguria e Festival. Liddi, Sturaro, Ceci, Fognini. I campioni nati nella città dei fiori

Sarà la musica che gira intorno, tra canzoni e campioni, fiori e palloni, campi e tornanti, erba e terra rossa. Cartoline da Sanremo. Volti, storie erbivore come quella di Stefano Sturaro, poligonali come Alex Liddi, di terra come Fabio Fognini. Storie da raccontare, mentre sta per partire un nuovo campionato, che poi è la massima serie della canzone italiana. Si gioca, come sempre, dal 4 all’8 febbraio. Non si scende in campo, ma si sale sul palco. Sono le notti più o meno magiche del Teatro Ariston. Forse non è un caso se tutto accade a Sanremo e se la partita si ripete dal 1951. Il luogo ha una storia e un senso. Non è una questione di logistica, perché Sanremo non è poi così facile da raggiungere. E adesso lo è ancora meno, in questa Liguria fatta di svincoli micidiali. Non è questione logistica, ma semmai morfologica: questa è una terra stretta tra le rocce e il mare, strade che curvano come le vene nel braccio di un vecchio. È terraferma da conquistare, con tenacia. La tenacia e il talento sono l’essenza dello sport. Funziona così anche quando l’arte sale sul palco e diventa gara, al Festival, quando Sanremo è qualcosa di simile a San Siro. Perché alla fine succede quasi ogni anno, quando la platea diventa gradinata, tra passione e contestazione.

  

Sanremo no, non è un’idea come un’altra e non è un caso che qui arrivi anche la grande classica di Primavera, corsa in linea dal 1907, la

Sanremo no, non è un’idea come un’altra e non è un caso che qui arrivi anche la grande classica di Primavera, corsa in linea dal 1907, la " target="_blank" rel="noopener">Milano-Sanremo. Sarà stata anche una “corsa facile” per Gianni Brera, ma un conto è farsela in macchina (da scrivere), un altro è correrla in bicicletta.

  

Sanremo è sfida, anche contro i luoghi comuni. Materia per quelli che dicono sono solo canzonette e poi le fischiettano dall’inverno all’estate e per gli anni a venire. Sfide controcorrente, pure per chi diceva: se sei italiano non puoi giocare (davvero) a baseball. Al massimo sarà un passatempo, una stravaganza. Invece puoi, eccome. Se ti chiami Alex Liddi puoi partire da Sanremo, atterrare negli Stati Uniti e diventare il primo italiano a giocare nella Major League di Baseball. Nato il 14 agosto 1988 nella città dei fiori e del festival (e del baseball), Liddi ha esordito nella lega professionistica nordamericana il 27 marzo 2008, con la maglia dei Seattle Mariners. E in Liguria, a casa sua, raccontarono pure il primo fuoricampo di un giocatore italiano in un diamante americano. Accadde il 19 settembre di nove anni fa. Flash, feste di piazza, banda. L’Italia che dopo l’America scopriva anche il baseball. Poi Alex è emigrato in Messico, nella franchigia dei Leones de Yucatan.

  

Messico e nuvole, canzoni e campioni che prendono a calci un pallone. Quelli che partono carichi di sogni e finiscono in Champions League, notti che con Sanremo si battono a colpi di share. Stefano Sturaro è uno che non molla mai, soprattutto adesso che è tornato nella casa dove ha iniziato a crescere, quella del Grifone. Centrocampista di qualità, quantità e tenacia, polivalente, come chi sa passare dal rock al reggae. Ora gioca nel Genoa, in serie A. Ha 26 anni, è nato il 9 marzo 1993. A Sanremo. Ha cuore, cervello, polmoni. Se proprio volete paragonarlo a una stella sanremese, potete accostarlo a Fausto Leali. Ha una felice assonanza con la lealtà che Sturaro dimostra in campo, ogni benedetta domenica. Sturaro ama la sua Sanremo, sempre, quando il Festival c’è e quando no. Nel secondo caso, probabilmente anche di più: chi ha radici profonde nella propria bellezza, vuole preservarla, anche con un pizzico di gelosia. Radici, come quelle delle piante, perché Sanremo è anche la riviera dei fiori. “E io ho studiato all’istituto agrario, volevo fare il floricoltore”, ha raccontato Sturaro. Che poi, però, ha giocato in Nazionale con Antonio Conte e in Champions League, con la maglia della Juventus. Il futuro potrà riservare un ritorno al primo amore, quello di far crescere ulivi e magnolie sulle terrazze arrampicate davanti al mare. C’è tempo, il calcio di Sturaro ha ancora molto da raccontare. Lui, per ora, al Festival non ha ancora messo piede. Quest’anno pare che invece ci farà un salto un suo amico, Claudio Marchisio, ex centrocampista della Juventus e della Nazionale. Il “Principino” ha appena smesso di fare del calcio una professione. Uomo eclettico ha già iniziato un nuovo viaggio: commenta sui giornali e sui social, propone idee per un mondo migliore. Scrive tweet ed editoriali, Marchisio: non di calcio, ma di varia umanità. Lo fa (anche) bene, ha pensieri profondi, parole misurate e ritmo veloce. Sanremo lo aspetta.

 

Canzoni e palloni e cupole. Brillano come l’oro quelle della chiesa ortodossa di Cristo Salvatore, costruita a Sanremo all’inizio del Novecento. Perché stare a quattro passi dal confine con la Francia, significava essere porto d’accoglienza, non muro da alzare. Qui, agli inizi del Novecento, si rifugiò un colonnello zarista di origine estone. Fuggiva dalla Rivoluzione d’Ottobre, nell’anno 1923 sua moglie diede alla luce Alessandro von Mayer. Gli amici, più semplicemente, lo ribattezzarono Ceci. L’uomo visse 83 anni a Sanremo, dove imparò sei lingue (inglese, francese, tedesco russo, spagnolo ed estone), divenne portiere, annusò l’area della Juventus, diventò labaro della Sanremese e poi allenatore. A Ceci e alla sua storia è dedicato uno dei più bei tornei giovanili d’Italia. La sua è una storia che sembra uscita da un romanzo russo di inizio Novecento.

 

Gesti bianchi e terra rossa. A Sanremo, il 24 maggio 1987, è nato Fabio Fognini, fautore della rinascita del tennis italiano, l’uomo che il 15 luglio 2019 ha raggiunto il nono posto della classifica Atp. Nato nella città del Festival, il tennista è cresciuto nella vicina Arma di Taggia, nome che meglio si addice allo spirito guerriero di Fognini.

 

Canzoni e palloni, ora però gli spettatori si affrettino a entrare in sala. Sul palco saliranno anche il pallavolista Simone Parodi, le cestiste Elena e Martina Bestagno e i loro colleghi Nicola Zaghi e Mauro Bonino. Seguiranno il golfista Mauro Durante; la campionessa di judo Maria Teresa Motta; Amilcare Ballestrieri e Silvio Maiga, quattro mani da rally. E poi ci saranno l’ultramaratoneta Michele Graglia, un altro tennista come Gianluca Mager, il cavaliere Denis Arreola, pluricampione europeo di Barrel Racing (non chiedete di cosa si tratta, non è poi così rilevante).

 

Ora, certo, qualcuno non sarà stato invitato, anche se l’elenco già sembra infinito. Può offendersi, ne ha facoltà. Ma ci sarà tempo per rimediare, quella del Festival è una storia infinita.

 

Luci a Sanremo, vinca il migliore.

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