il foglio sportivo – tifare contro
“Un mondo libero e vero”
Venticinque anni fa, il 5 febbraio del 1995, si teneva il primo raduno nazionale degli ultras italiani, indetto a Genova a seguito della morte di Vincenzo Spagnolo
[Anticipiamo un articolo del numero del Foglio Sportivo in edicola domani e domenica. L'edizione di sabato 8 e domenica 9 febbraio la potete scaricare qui dalle 23,30 di venerdì 7 febbraio]
Nella lunga storia degli ultras italiani c’è una tappa cruciale, una cesura, uno di quegli episodi di cui si dice, e in questo caso con molte ragioni, che dopo nulla è più stato com’era prima.
Venticinque anni fa, il 5 febbraio del 1995, si teneva infatti il primo raduno nazionale degli ultras italiani, indetto a Genova a seguito della morte di Vincenzo Spagnolo, ultras genoano, avvenuta la settimana prima, nei minuti precedenti l’inizio di Genoa-Milan, poi sospesa.
Spagnolo morì per una coltellata, sferrata da un ultras del Milan, durante uno scontro sotto la curva del Genoa. Il gruppetto dei milanisti era andato apposta a cercare i rivali sotto la loro curva, uno dei “gesti” tipici di quegli anni, quasi un rituale, che di solito si concludeva senza troppi danni. Ma quel giorno no, quel giorno non fu un rituale, e dopo lo scontro rimasero in terra un ragazzo e un coltello. E si scatenò una giornata di guerriglia.
Fu un episodio drammatico, come ce ne sono stati molti altri, ma più significativo di molti altri, e foriero di conseguenze come quasi nessun altro, per due motivi. Perché tutto andò in diretta televisiva, e il Paese intero si rese improvvisamente conto di quello che davvero succedeva nei nostri stadi, ma soprattutto perché quella di Spagnolo fu una morte ultras, e basta. Non c’entrava la polizia, non c’entravano gli stadi fatiscenti, non c’entravano i razzi che avevano ucciso Paparelli nel 1978, non c’entrava niente che non avesse a che fare con la “mentalità” e con le sue derive. E fu per questa consapevolezza che la settimana successiva venne organizzato il primo raduno ultras, che si chiuse con il celebre comunicato intitolato “Basta lame, basta infami”.
Il comunicato era in parte ipocrita, perché prendeva le distanze dai coltelli e dagli agguati (e in quegli anni nessuno che frequentasse davvero le curve poteva dire “di non avere nulla a che spartire con certi comportamenti”), e in parte ingenuo, perché il mondo ultras, come era prevedibile, non riuscì affatto a liberarsi né degli infami né delle lame. Ma riletto con il senno di poi quel testo si rivela anche molto lungimirante, perché anticipava con chiarezza quella che sarebbe stata la fase successiva della storia degli ultras, ossia lo scontro sempre più acceso e feroce tra ultras e forze dell’ordine, che negli anni che seguirono portò altra violenza, e altri drammi.
Ma le parole pesano, e più invecchiano, e più pesano, e ancora oggi, dopo tutto questo tempo, dopo tutto quello che è successo, dopo tutto, non si riesce a trovare una definizione migliore di cosa sono stati gli ultras, di quella contenuta in quel comunicato: “un mondo libero e vero, pur con tutte le sue contraddizioni”.