il foglio sportivo

I piedi di Max Calderan dentro il Quarto Vuoto

Come si doma il deserto. L'esploratore italiano e quegli oltre mille chilometri camminati in 18 giorni

Giorgio Coluccia

Per anni il Rub Al Khali ha rappresentato per me la sfida estrema e invincibile del deserto. Dopo averlo attraversato la ricompensa era una bevuta d'acqua pulita, quasi insapore. Questo mi bastava”. Parole che risalgono a settant’anni fa. Le pronunciò l’esploratore britannico Wilfred Thesiger dopo uno dei suoi viaggi nel più vasto e inospitale deserto di sabbia del mondo. Lo stesso nel quale nei giorni scorsi si è avventurato l’italiano Max Calderan che è riuscito a completare la traversata in solitaria del Rub Al Khali su una rotta mai esplorata prima. Oltre mille chilometri a piedi in 18 giorni, lungo la fetta meridionale della Penisola araba tra distese infinite di sabbia e dune alte fino a trecento metri. Una volta completata l’impresa, quelle parole vecchie di mezzo secolo sono tornate attuali, con la pulsione di soddisfare un bisogno primario dopo un’esperienza che azzera il tempo, la resistenza, la cognizione dell’uomo.

 

“All’arrivo le prime cose che ho chiesto sono state dell’acqua e la possibilità di fare una doccia – ha dichiarato l’esploratore veneto, 52 anni, di Portogruaro – Cose semplici, desiderate a lungo, però allo stesso tempo mi hanno reso triste perché era come scrollarsi di dosso quest’avventura che con grande sacrificio mi sono vestito addosso”.

  


per gentile concessione di Max Calderan


 

Il Rub Al Khali è chiamato anche Quarto Vuoto: per la sua vastità è inteso come quarta parte del globo assieme a cielo, terra e mare. Secondo la tradizione islamica questa distesa di sabbia contiene le rovine di una grande civiltà perduta. Viene citato anche nel Corano, che racconta come una grande città, nota come Iram delle Colonne, venne distrutta da un enorme disastro naturale: una punizione per volere di Allah. I resti sono sepolti ancora oggi sotto la sabbia del deserto.

 

Calderan non ha preso come riferimento la via più breve, da nord a sud, già battuta in passato da altri esploratori, ma ha domato la “bestia” con un attraversamento orizzontale che l’ha costretto per alcuni giorni a camminare fino a diciotto ore di fila, coprendo in media quasi sessanta chilometri giornalieri. Con un’escursione termica eccezionale, visto che a quelle latitudini il termometro passa dai 35 gradi delle ore più calde ai 2 della notte. A seguirlo attraverso il segnale satellitare c'erano tre centrali operative di controllo situate a Londra, Dubai e Riad mentre, più da vicino, veniva seguito da una troupe dell’Empty Quarter Studios, una casa di produzione americana che produrrà il documentario “Nel deserto perduto” per mostrare al mondo le immagini inedite della missione compiuta. È questo per il veneto il picco più alto, almeno per ora, di una carriera d’avventure incredibili: già nel 2007 aveva camminato in Oman, lungo la linea del Tropico del Cancro per 437 chilometri in 90 ore non stop tra montagne, pietre e sabbia. E sempre lungo il Tropico nel 2016 era riuscito a percorrere 365 chilometri in 128 ore, questa volta però tutti in mezzo al deserto.

 

Il racconto di Calderan al Foglio Sportivo arriva da Dubai, la voce è ancora provata: “Avevo letto di questo Quarto Vuoto per la prima volta a 7 anni su un’enciclopedia. È quello il momento nel quale ho iniziato a desiderare di attraversarlo. Feci un disegno di come me lo sarei immaginato e confidai quel desiderio a mia mamma. A distanza di 46 anni ce l’ho fatta ed è stata una sensazione strana. Sei avvolto dal nulla, dalla libertà e da sabbia incontaminata. È un posto dal quale anche gli animali stanno alla larga. Ho trovato poche impronte, resti di un’antilope in estinzione come l’Orice e il Deathstalker, uno scorpione giallo temuto per il suo veleno, un terribile cocktail di neurotossine. Non ho avuto particolari pensieri, in quei giorni facevo fatica a elaborare: era come se il cervello si stesse spegnendo. Forse perché attorno a me c’era il vuoto cosmico ed era la natura a parlare. Zero vegetazione, nessun rumore e anche in cielo non vedevo le scie degli aerei nonostante avessi una visuale a 360 gradi. A un certo punto ho urlato forte, ma la voce è tornata indietro oppure è stata risucchiata da qualcosa. La routine è stata devastante, ho camminato a oltranza alzandomi alle due del mattino e spesso andando avanti fino alle sette di sera. Ho intravisto uno spiraglio di speranza solo a 200 chilometri dall’arrivo, quando dopo il nulla più totale mi sono imbattuto in una rete metallica, la recinzione di un insediamento petrolifero. Da sempre il Quarto Vuoto è il sito più ricco di petrolio nel mondo, sotto le dune si nascondono riserve infinite, ma nessuno si è mai avventurato fin lì”.

 


Le immagini dell'impresa di Max Calderan

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Gli ultimi giorni sono stati quelli più complessi: oltre alla stanchezza, al caldo e allo scoramento, “ho iniziato ad avvertire una sensazione di allucinazione”, come se fosse in un labirinto, in cui le dune sembravano tutte uguali e il meteo cambiava di continuo. Può capitare anche a chi vanta tredici record mondiali di esplorazione desertica. D’altra parte il tratto conclusivo è il punto più rischioso: in media ogni anno quasi trenta persone vengono inghiottite da questi inferi e i beduini incontrati da Calderan lungo il tragitto gli hanno sconsigliato di proseguire oltre perché troppo pericoloso e impossibile da sostenere: “Non c’è nulla da vedere. Più ti spingerai oltre e meno possibilità avrai di trovare qualche forma di vita” gli dicevano. A un certo punto una tempesta di sabbia ha sommerso i veicoli al seguito e l’esploratore veneto ha dovuto rannicchiarsi perché impossibilitato a guardare oltre o a compiere perfino piccoli passi. Il suo team lo aspettava all’arrivo e la società saudita che gestiva logistica e sicurezza si è rifiutata di procedere a causa della pericolosità del percorso. “Uno scenario infernale”, racconta. “Quando provi a superare certi limiti ti accorgi come l’uomo sia costretto a piegarsi al volere della natura. Di fronte a tanta vastità avverti di essere minuscolo. Volevo portare la mia anima al traguardo per riuscire a raccontare certe sensazioni e riabbracciare mia moglie, che a maggio mi regalerà un figlio. I primi abbracci che ho ricevuto però sono stati quelli dei poliziotti alla frontiera, continuavano a chiedermi se davvero avessi camminato per oltre mille chilometri. Abbiamo scattato una foto e poi al mio team ho consegnato tutti i punti d’interesse rilevati durante l’esplorazione, che approfondiremo e potranno tornare utili per avere accesso a questa fetta inesplorata del nostro pianeta. Sono orgoglioso del fatto che d’ora in poi sulle cartine mondiali ci sarà la Calderan Line, una traccia destinata a ricalcare il mio percorso fatto in quei diciotto giorni. Ho aperto una frontiera, spero di essere d’ispirazione per tanti miei colleghi”.

 

Si è spinto dove nessuno aveva mai osato prima, proprio come fece il celebre David Livingstone nel cuore del continente nero. Unico più che raro. “Doctor Calderan, I suppose”.

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