Il Verona sembrava una follia, Juric l'ha trasformata in una realtà
I giudizi sui gialloblù sono altrettante sentenze di condanna a retrocessione immediata. Dopo 23 giornate l'Hellas è in zona Europa League
Nei manuali di conversazione sul calcio il Verona vi è entra per due macroargomenti. Il primo è legato all'espressione “Fatal Verona”, a ricordo di un 20 maggio 1973. Era la domenica in cui Jarno Saarinen e Renzo Pasolini morirono sul circuito di Monza, in una gara del motomondiale classe 500. Era la domenica in cui il Milan, reduce dalla finale (vinta) di Coppe delle Coppe, perde 5-3 al Bentegodi contro una squadra ormai salva, consegnando lo scudetto all'ultima giornata alla Juventus. Il secondo è invece un passaggio della vulgata di “come era bello il calcio di una volta”, quello in cui le big non dominavano a mani basse. Quello del Verona 1985 è l'ultimo scudetto di una vera provinciale, una squadra che viveva sulle parate di Garella, sulla difesa di Tricella, sulla regia di Di Gennaro, sulle volate di Fanna e sulle follie sportive della coppia di stranieri Briegel-Larsen. Un gruppo irripetibile, reso unico e vincente da Osvaldo Bagnoli in panchina.
Oltre trent'anni dopo un altro allenatore sta scrivendo una storia d'amore nella città per eccellenza degli innamorati. I tifosi impazziscono per Ivan Juric, arrivato in estate tra mille dubbi e oggi in grado di condurre la squadra là dove non era più salita da tempo. Il Verona siede al sesto posto, bussando alle porte dell'Europa. Lo fa forte di un gruppo eterogeneo, come era stato quello di Bagnoli, e di un tecnico che ha saputo imparare da un maestro senza abbattersi per le delusioni. Se c'è un uomo importante nella carriera di Juric, questo è Gian Piero Gasperini. I due si incontrano a Crotone nel 2003, dove il tecnico approda per la prima esperienza da grande in panchina dopo le vittorie con la Primavera della Juventus. Juric c'è già due stagioni, pescato in Spagna nell'Albacete. Sul campo diventa immediatamente la concretizzazione delle idee del nuovo allenatore. Il croato è un centrocampista di corsa e di sostanza ma, soprattutto, di intelligenza, abilissimo a leggere le situazioni. Anche per questo motivo Gasperini se lo porta al Genoa nel 2006, dove i due collaborano per quattro annate, trasformando le modalità del rapporto quando Juric smette di giocare.
Il centrocampista si trasforma a sua volta in allenatore, sempre con Gasperini come punto di riferimento. Comincia come vice nella Primavera rossoblù, poi lo segue nella breve e controversa avventura all'Inter. Quindi il Palermo e il ritorno al Genoa, non più nello staff della prima squadra, ma come allenatore ancora della Primavera. Nel 2014 Juric comincia a camminare da solo. Parte dal Mantova, l'anno dopo lo richiama il Crotone, che conduce a una storica prima promozione in serie A. Tanto basta per convincere Enrico Preziosi a sceglierlo come erede di Gasperini nel 2016, per tre anni con altrettanti licenziamenti. In Liguria il croato riesce solo a far intravedere la sua idea di calcio, ma lancia già segnali alla Juventus, che travolge 3-1 nella stagione del debutto e che obbliga al primo pareggio nel 2018-19 dopo dieci vittorie consecutive: era il nuovo debutto sulla panchina rossoblù, fatto coincidere con l'esordio del ventenne Cristian Romero, messo a marcare Cristiano Ronaldo.
L'esperienza dura lo spazio di sette partite, in cui Juric conquista tre punti, frutto di altrettanti pareggi. Un curriculum zoppicante per tutti, ma non per Maurizio Setti, il presidente che gli affida il neopromosso Verona in estate. A tutti appare una follia, come appare una follia la squadra costruita dal giovane direttore sportivo Tony D'Amico, che pesca gente sconosciuta a più. I giudizi sui gialloblù sono altrettante sentenze di condanna a retrocessione immediata, e i fatti sembrano confermarle. Si comincia con l'eliminazione al primo turno in Coppa Italia per mano della Cremonese, segue un campionato nelle posizioni di retrovia, fino alla svolta del 15 dicembre: il Verona, in casa, è sotto di tre gol con il Torino a 20 minuti dalla fine, ma riesce a trovare un pareggio incredibile. Quella rimonta segna l'inizio di una serie di otto partite consecutive senza sconfitte, in cui ci sono i pareggi esterni con Milan e Lazio e, da sabato, lo scalpo più prezioso: quello della Juventus.
Juric, rispetto agli incroci precedenti, stavolta ha battuto i bianconeri nella maniera più “gasperiniana” possibile. Sul piano tattico ha portato quasi all'esasperazione i duelli uno contro uno, trasformandoli in molti casi in marcature a uomo come non si vedevano da tempo. Sul piano motivazionale ha dato una tale carica alla squadra rendendola capace di rimontare dopo il solito gol di Ronaldo. Un recupero fatto di carattere e gioco, grazie a uomini costati poco o nulla, il cui monte ingaggio netto arriva a 10 milioni, un terzo di quanto prende CR7 dalla Juventus.
Questo Verona si poggia su gente come Miguel Veloso e Fabio Borini, arrivati a costo zero, oppure su prestiti come Koray Gunter e Valerio Verre. In difesa il kosovaro Amir Rrahmani è giunto dalla Dinamo Zagabria per 1,7 milioni ed è stato venduto a gennaio al Napoli per 15 milioni più 1,5 di bonus, mentre il marocchino Sofyat Amrabat è un prestito dal Bruges con diritto di riscatto a 3.5 milioni ceduto, sempre a gennaio, alla Fiorentina per 20 milioni più uno di bonus. Due affari per il bilancio, come due affari per Juric, che ha ottenuto di tenere i giocatori fino a giugno. E poi c'è Giampaolo Pazzini, che Setti ha dovuto confermare controvoglia (causa alto ingaggio) e che si sta rivelando decisivo a 35 anni. Un leader per giovani come Marash Kumbulla, 20 anni, albanese nato a Peschiera sul Garda e cresciuto in gialloblù, crack annunciato al prossimo mercato per una società che non potrà più vincere scudetti ma che sta dimostrando come in provincia ci si possa divertire con intelligenza e bravura tecnica. Il Verona di Juric come, non a caso, l'Atalanta di Gasperini.