Così Acerbi si è regalato il suo appuntamento con la storia
Non solo Immobile. La Lazio sogna lo scudetto anche grazie alla difesa e il difensore ex Sassuolo ne è il simbolo assoluto
Ciro Immobile, certamente. Con il rigore realizzato all'Inter è salito a quota 26 reti, continuando una marcia apparentemente inarrestabile in vetta alla classifica marcatori. Ma anche la fase difensiva della Lazio non è malaccio, visto che dopo il 2- 1 dell'Olimpico è diventata la retroguardia meno battuta del campionato, con ventuno reti incassate. E, si sa, in Italia gli scudetti si costruiscono in grandissima parte tenendo gli avversari ben lontani dalla propria porta. Una difesa, quella della Lazio, che ha in Francesco Acerbi il simbolo assoluto. Ancor più da domenica sera, quando si è immolato al 90' su una conclusione di Romelu Lukaku potenzialmente pericolosa. Lo ha fatto con coraggio (che non gli è mai mancato, rasentando l'incoscienza) e con tecnica. Il difensore si trovava in area, rischiava un fallo di mano. Invece si è girato di schiena, perfettamente coordinato e con braccia aderenti al corpo, per respingere il tiro del belga: una lezione per tutti quelli che si lamentano quando ai propri giocatori viene fischiato un rigore per fallo di mano. Evidentemente si può difendere evitando atteggiamenti pallavolistici.
Ad Acerbi è bastato poco per conquistare la Lazio. Giungeva da una eccellente esperienza al Sassuolo, in più doveva prendere il posto di Stefan De Vrij uno, al cui confronto, Giuda appare uomo di provata fedeltà ai tifosi della Lazio: non hanno ancora digerito il modo in cui ha salutato per legarsi all'Inter nel 2018, a scadenza di contratto, e domenica lo hanno evidenziato in maniera sonora, fischiandolo a ogni tocco di palla. Ma Acerbi non si è accontentato del compitino, assumendo subito il ruolo di leader sul campo con estrema naturalezza e con totale responsabilità.
Una storia inversamente proporzionale a quanto gli era capitato al Milan nel 2012. Acerbi ha ventiquattro anni, viene acquistato da una società in cui Silvio Berlusconi ha cominciato una spending review inevitabile per una realtà non più gestibile da un uomo solo. In quell'estate Zlatan Ibrahimovic e Thiago Silva se ne vanno al Paris Saint Germain e saluta un altro totem della difesa come Alessandro Nesta. Acerbi si è messo in evidenza al Chievo, è giovane e di prospettiva, viene considerato un elemento su cui scommettere. Ma l'età e il carattere focoso, uniti a una Milano che induce in tentazione, lo fanno deragliare. Trascorre le notti a divertirsi, l'alcol non manca, e nello spogliatoio appare ingombrante, sia a chi è erede della squadra rossonera che fu, sia a Massimiliano Allegri. In più il Milan raccoglie sette punti nelle prime otto partite, peggiore partenza dal 1941-42. Il centrale sale naturalmente sul banco degli imputati, a gennaio viene rispedito al Chievo: “Ho fallito per colpa mia, perché dico le cose in faccia. Mi sentivo invincibile, libero di fare casino e di andare per locali”.
La bocciatura del Milan è la prima batosta su cui, nell'estate 2013, se ne accumula una seconda. Acerbi è stato ceduto al Sassuolo, alle visite mediche gli viene diagnosticato un tumore al testicolo sinistro. Intervento chirurgico immediato e ripresa miracolosa: il 13 settembre debutta in trasferta a Verona. Ma a dicembre il male si ripresenta, sotto forma di metastasi all'altro testicolo. Acerbi si sottopone a chemioterapia da gennaio a marzo: perde la stagione, ma ritrova se stesso. “Solo dopo la malattia ho capito che volevo fare il calciatore - avrebbe raccontato -, ora distinguo il bene dal male”. Credente quanto basta, con preghiera alla mattina e alla sera, ma - come dice lui - “senza diventare un santo”.
Al Sassuolo si rivela uno dei difensore più affidabili della Serie A, alla Lazio non hanno dubbi quando si tratta di tappare il buco aperto da De Vrij. In maglia biancoceleste Acerbi ha ritrovato persino la Nazionale, dove si è regalato la prima rete a metà novembre contro la Bosnia. E sotto la guida di Simone Inzaghi fa parte di quel gruppo di giocatori giunti all'appuntamento con la storia per motivi anagrafici: lui trentun anni, Lucas Leiva e Stefan Radu trentatré, Senad Lulic trentaquattro. Un motivo in più per mettere sotto pressione una Juventus già battuta in campionato e in Supercoppa e provare a regalarsi quello che nessuno, a inizio stagione, aveva pronosticato.