I cromosomi non mentono. Federica Brignone raccontata da sua mamma
I primi sci a un anno e mezzo, le discese con i genitori e la stagione che ha cambiato tutto. La campionessa italiana dello sci, ora primatista in Coppa del Mondo, vista dall’ex azzurra Ninna Quario
Cromosomi, evoluzione della specie e talento. Non si è figli d’arte a caso, tanto che poi non si è più “figli di…”, ma qualcuno diventa “genitore di…”. “Solo in questa stagione Federica ha vinto di più di quanto abbia fatto io in tutta la mia carriera”: parola di Ninna Quario.
Federica è Federica Brignone, figlia di Maria Rosa (detta Ninna) Quario, nazionale di sci negli anni Settanta-Ottanta, quelli della Valanga Rosa con Claudia Giordani, Daniela Zini e Paoletta Magoni. Quindici podi con quatto vittorie tutte in Slalom Speciale. Oggi giornalista per il magazine tv di Infront, la rivista Sciare e il Giornale. Chi meglio di lei può raccontare come è perché nasce e cresce una campionessa che in questo momento è ai vertici di tre classifiche di specialità dello sci, Gigante, Super G e Combinata, seconda nella classifica generale. Una somma di primati mai raggiunti da una sciatrice italiana.
Foto LaPresse
Come nasce una campionessa del genere? “Nasce un caldissimo 14 luglio del 1990 a Milano alla Clinica Pio X”, racconta al Foglio Sportivo la mamma, “con taglio cesareo perché non ne voleva sapere di girarsi nella giusta posizione e il termine oramai era scaduto. Nei giorni in clinica urlava così tanto che le suore sostenevano che avrebbe fatto la cantante e in effetti canta molto bene. Sapevo già che era una femmina ed ero contenta, il patto era che in caso di figlia femmina avrei scelto io il nome: Federica è nome di famiglia, come mio nonno e mio fratello, naturalmente nella versione maschile.
Figlia di una campionessa, ma anche il papà Daniele Brignone, ligure, maestro e allenatore con la neve nel sangue: la sua è una sciata perfetta, ma riesce in modo eccellente in qualsiasi sport. Viene naturale pensare che due genitori cosi abbiano spinto velocemente la bambina sugli sci: “Non ci siamo veramente posti il problema fino a quando in un negozio di sci a Tignes, in Francia, Federica avrà avuto un anno e mezzo, a un certo punto non la trovavamo più”, ricorda Ninna: “Aveva preso un paio di piccoli sci di plastica era uscita e se li era infilati zampettando davanti al negozio. Li abbiamo comprati”.
Il primo paio di sci veri è arrivato circa un anno dopo, subito dei Rossignol, come la mamma, con scarponi Lange, una fedeltà che non è mai stata tradita. “Sciavamo molto insieme, tenendo Fede tra le gambe solo se era ripido”, continua il racconto la mamma: “Era sempre contenta, mai un lamento per il freddo, la neve e la montagna erano il suo ambiente naturale. Poi nel febbraio 1994, mentre ero alle Olimpiadi di Lillehammer mia mamma l’ha portata a scuola di sci. Ogni sera quando telefonavo mi raccontavano che l’avevano avanzata di una classe. Un progresso continuo, fino a quando l’ha presa sotto la sua ala uno dei migliori maestri di Courmayeur: Osvaldo Picchiottino. Di fatto il suo primo allenatore”.
Le Olimpiadi invernali del 1994 sono state straordinarie per l’Italia, una valanga di medaglie con Compagnoni, Tomba, Kostner, la staffetta del Fondo, Armin Zoeggeler nello slittino, ma all’ombra del Monte Bianco intanto germogliava una campionessa. Nessuna ansia da prestazione da parte della famiglia, niente follie tipo Agassi. Nessuna ossessione.
“Non l’abbiamo certo spinta verso l’agonismo, Federica amava andare fuori pista, sciare nei boschetti, ma quando ci siamo trasferiti in pianta stabile in Val d’Aosta, frequentare lo Sci Club Courmayeur è diventato naturale”. Il racconto di Ninna continua: “Ma lo sci restava uno sport invernale. C’erano ragazze della sua età che già passavano l’estate sul ghiacciaio. Lei no, anche se suo padre insegnava nei mesi estivi”. La prima vittoria è arrivata alla gara sociale dello Sci Club, ma non c’era ancora l’evidenza della futura campionessa. Nel 2002 e nel 2004 non si era neppure qualificata per i campionati Italiani. La svolta avviene nel 2005, quando a sorpresa vince il titolo italiano di Super G davanti a Francesca Marsaglia. “Lì ho pensato che fosse abbastanza brava”, sorride Ninna, “suo papà era molto più gasato, tanto che qualcuno lo prendeva in giro: non penserai che tua figlia sia la nuova Compagnoni gli dicevano…”. Un’affermazione che fa tornare in mente quelli che consigliavano ad Alberto Tomba diciassettenne di lasciar perdere con lo sci.
Diventare un’atleta sul serio non era più una possibilità, era diventata una scelta. Ogni gara un passo avanti: nelle prime FIS partiva con il pettorale 110 e entrava tra le prime venti. All’inizio Marsaglia e Curtoni erano lontane, le rifilavano distacchi epocali, ma in breve tempo aveva scalato le classifiche fino a diventare la migliore italiana della sua età”.
Nel dicembre 2007 arriva la prima convocazione in Coppa del Mondo nello Slalom Gigante di Lienz. Una presenza saltuaria fino al 2009 quando nel Gigante di fine ottobre a Soelden, alla sua quarta gara in coppa, si classifica ventunesima. Sono i primi punti che le valgono la convocazione per la trasferta in Nord America dove ad Aspen conquista il primo podio: terza.
Non è più una sorpresa e la squadra nazionale diventa la sua famiglia, gli allenatori la spingono solo in slalom gigante dopo l’argento mondiale 2011. Allora c’era una divisione netta tra le atlete della velocità e quelle degli slalom. “Io sapevo che Fede aspirava a mettersi in gioco nelle discipline veloci. Amava il Super G, ma la Federazione non contemplava una commistione tra le discipline. Girando tutto l’inverno al seguito della Coppa del Mondo osservavo in silenzio. Io e Daniele, che nel frattempo ci eravamo separati, non siamo mai intervenuti”, continua il racconto, “per me a volte era difficile, perché mi trovavo in un evidente conflitto di interessi, se dovevo scrivere delle sue gare ero quasi in imbarazzo. Intanto mi trovavo ad affrontare le sue crisi di rigetto. Ha sempre avuto aspettative altissime su di sé e quando sbagliava, a volte anche più volte di seguito, si faceva prendere dallo sconforto, dal desiderio di mollare tutto. Non è stato facile superare il 2012 quando per una ciste alla caviglia, dolorosissima, ha perso tutta la stagione, ma il momento più difficile è stato a dicembre 2016: Sofia Goggia andava sul podio a ripetizione e lei non finiva una gara. Voleva smettere, ma poi come altre volte ha reagito e quella fino ad ora è stata la sua stagione migliore.
La chiave di volta che ha portato a questa stagione incredibile è stato l’arrivo del fratello Davide: “Davide era un talento, senza la moltitudine di infortuni e problemi fisici che lo hanno condizionato sono sicura che sarebbe diventato un campione”, racconta la mamma, “perché lo accettassero in squadra ho alzato il telefono per parlare con il presidente della Federazione e il direttore della squadra femminile. E’ stata dura, ma ce l’abbiamo fatta, Federica lo paga, sostiene le sue spese, ma questo le ha cambiato l’approccio alle gare. Alla prima trasferta insieme, a San Vigilio di Marebbe, nel febbraio 2017, Federica ha subito vinto. E’ un sostegno tecnico e psicologico. Ora si sfoga con lui non più con me, ne ho guadagnato anche io…”. Nel frattempo, anche se non sono mai state amiche con Sofia Goggia, si è creato un gruppo di lavoro produttivo dedicato allo Slalom Gigante, al Super G e alla Discesa: lo stimolo tra le due campionesse è continuo, sono due stakanoviste e in questa stagione ne ha beneficiato anche Marta Bassino.
“Certo, parlando di figli d’arte rivedo un po’ la mia determinazione, il desiderio di primeggiare per se stessa, non per diventare famosa, per stare in vetrina. È incredibile, non legge niente di quello che scrivono su di lei, io invece divoravo tutti gli articoli e oggi leggo di lei, non mi perdo nulla. Nelle interviste spesso non ha peli sulla lingua, a volte è troppo istintiva, forse per questo non ha sempre buona stampa, non sopporta i giornalisti che vogliono fare gli amici degli atleti, però ha imparato l’importanza dei social che oggi sono fondamentali. Nel privato è un’amante della compagnia, io amavo stare da sola, siamo uguali nella energia che mettiamo in tutto. È una ragazza di grande generosità”.
Ci sarebbe da scrivere un libro, tutti gli sportivi lo fanno “più spesso se lo fanno scrivere”, sottolinea pronta la giornalista Ninna Quario. In questo caso il ghost writer sarebbe di casa.