Gli arbitri si preparano alla sacrosanta rivoluzione
È allo studio un progetto che si propone di riformare gli organi tecnici nazionali, il che significa la riunificazione dell’organico dei fischietti di Serie A con quello degli arbitri di Serie B. Ed è una buona notizia
Finalmente l’hanno capito: prima che sia troppo tardi e il disastro compiuto, occorre fare qualcosa per salvare la classe arbitrale italiana, per decenni ritenuta (a ragione) la migliore del mondo e ora sprofondata in una crisi resa evidente dai numeri e dal fatto che – cosa mai accaduta prima – è stato difficile perfino preselezionare un arbitro italiano da poter mandare ai Mondiali che si terranno tra due anni. La scelta è caduta sul non più giovanissimo Orsato, ormai ultimo argine al diluvio fatale. Almeno, come dimostra la prestazione in Real-City, sul suo valore non vi sono dubbi.
La notizia è questa: è allo studio un progetto che si propone di riformare gli organi tecnici nazionali, il che significa la riunificazione dell’organico dei fischietti di Serie A con quello degli arbitri di Serie B. Forse, dice qualcuno beninformato, nel gruppone ci finiranno pure quelli, tantissimi, della Lega Pro. Il motivo, al di là dei sospetti interni al mondo arbitrale – le elezioni per il rinnovo dei vertici dell’Aia non sono lontane e riunificare quel che è diviso toglierebbe molti argomenti al cahier de doléances degli oppositori – è che bisogna uniformare le disposizioni tecniche, soprattutto ora che in B arriverà il Var. Il provvedimento, in ogni caso, sarebbe sacrosanto.
La fortuna della classe arbitrale italiana è stata sempre nella pratica dei cosiddetti “vasi comunicanti”: fischietti internazionali mandati sovente in Serie B e giovani rampanti da far crescere alternando esperienze in A e tra i cadetti. Senza muri invalicabili o ridicoli affacci una tantum (due, tre volte a stagione) in campi con spalti deserti e partite più simili a quelle aziendali del giovedì sera. È stato un decennio di errori marchiani: chi sbaglia, ora, o finisce in castigo senza arbitrare (una volta invece poteva recuperare con calma in B, lontano dai riflettori), o continua a sgambettare, col rischio di aggravare il suo pessimo stato di forma. È stato un incubo che ha azzoppato la crescita di potenziali arbitri d’élite e che ha costretto i poveri designatori di A a raschiare il fondo del barile. Occorreva che se ne andassero Rizzoli, Banti, Mazzoleni e tra poco il fenomeno Rocchi per mettere tutti davanti all’evidenza: la pacchia è finita. E senza arbitri formati, autorevoli e di polso (quindi esperti), puoi anche modificare trenta volte i protocolli Var, ma il risultato sarà sempre rabberciato e precario.