Roma. Hanno detto che far giocare Juventus-Inter a porte chiuse sarebbe stato un pessimo spot per il calcio italiano. Poi si sono messi a litigare furiosamente, ed è un pessimo spot per il calcio italiano. A pensarci bene è inutile nascondersi dietro all’emergenza di questi giorni: il pallone, in Italia, è infetto da prima che arrivasse il coronavirus, è stato da tempo contagiato da una gigantesca somma di interessi personali e sembra non potersene liberare mai. Guardiamo a quello che sta succedendo in questi giorni, al disordine umorale, organizzativo ed etico per le partite da rinviare, da giocare a porte aperte, a porte chiuse, con i settori divisi in base al luogo di residenza e le trasferte che dipendono dalla mappa dell’Italia disegnata dal governo, quella delle tre macroregioni, zona rossa, zona gialla e poi il resto. Ecco, non c’è niente che riguardi l’interesse pubblico, che abbia una minima aderenza con le esigenze di un paese alle prese con una difficilissima strategia di contenimento. Nella Lega di serie A, invece, si coltivano egoismi e, visto che ci siamo, anche piccole manovre politiche perché tra un po’ bisogna parlare dei soldi dei diritti tv e quindi vanno formate le alleanze. Il punto principale è che in Italia non esiste un sistema-calcio, un modo unico o per lo meno maggioritario di organizzarsi.
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