Milan a pezzi
Gazidis è solo al comando di una società ormai moribonda. Da Boban a Rangnick: i fantasmi del fallimento si aggirano attorno alla squadra che ieri ha perso contro il Genoa terzultimo
Una immagine ha lasciato il segno nella domenica più pazza mai vissuta dal campionato italiano di calcio in novant'anni di serie A, tra stadi deserti causa epidemia coronavirus e squadre negli spogliatoi in attesa di sapere se avrebbero giocato o meno (Parma e Spal). Una inquadratura breve, ma con la forza di raccontare una storia. Quella di Ivan Gazidis, solo soletto nella tribuna di uno stadio San Siro enorme e vuoto. Al contrario dei tifosi, i dirigenti avevano libero accesso agli impianti in un turno fatto solo di divieti. Eppure il Milan - che stava mestamente affondando in casa sotto i colpi del Genoa terzultimo in classifica - era rappresentato unicamente dal suo amministratore delegato, non più circondato come poco tempo fa dal presidente Paolo Scaroni, dal (Dio ci perdoni per l'anglicismo) Chief Football Officer Zvonimir Boban, dal direttore tecnico Paolo Maldini e dal direttore sportivo Frederic Massara. Boban era l'unico assente giustificato, in quanto appena licenziato. Gli altri no. A sottolineare ormai la tendenza imboccata dal Milan, quella di un uomo solo al comando quale Gazidis oggi è. Con tutti vantaggi e gli svantaggi del caso. Il dirigente venuto dall'Arsenal a miracol (finanziario) mostrare, non potrà più nascondersi e, parole sue risultate sgradevoli nell'ambiente, “dopo aver salvato dalla bancarotta” i rossoneri, dovrà dare loro un destino sportivo all'altezza delle aspettative. Del suo datore di lavoro (il fondo Elliott), per poter rivendere al meglio il giocattolino, e dei tifosi, ormai disorientati dalle montagne russe su cui sono saliti dalla cessione da parte di Silvio Berlusconi.
Solo un periodo folle per l'Italia e per il calcio, tra ministri smentiti in diretta tv (l'ottimo Vincenzo Spadafora preso per i fondelli da Sky sulla mancata trasmissione in chiaro delle partite) e dirigenti sportivi divisi come un sol uomo sulla prosecuzione o meno del campionato, ha fatto sì che la crisi della società rossonera non abbia preso titoloni e prime pagine. Una crisi sussurrata, immaginata e infine esplosa con una intervista di Boban talmente strumentale da condurre inevitabilmente alla cacciata per giusta causa. Il croato lamentava la scarsa collegialità nelle decisioni, una sensazione che si era avuta fin dall'ingaggio di Marco Giampaolo. Un allenatore voluto da Maldini, poco gradito alla proprietà e supportato da un mercato di basso profilo nella costruzione della squadra. Le foto sorridenti di gruppo erano uno specchietto per le allodole, mentre dietro le quinte già si affilavano i coltelli. Così Giampaolo è saltato alla prima occasione buona e allo stesso Stefano Pioli (che ne ha preso il posto) non è stato dato neppure il tempo di guadagnarsi la conferma. Boban, e non solo lui, è convinto che Gazidis abbia già messo sotto contratto Ralf Rangnick, nonostante le reiterate smentite del tedesco. “Già da dicembre”, ha ribadito il croato. Per carità, ci sta: le società si muovono sempre con grande anticipo per i cambi di guida tecnica. Ma lo fanno in gran segreto, come avvenne la passata stagione alla Juventus per esempio, quando cominciò a guardarsi intorno sondando Antonio Conte poco dopo la sconfitta di Madrid in Champions contro l'Atletico a febbraio. Il nome di Rangnick è invece venuto fuori quasi subito tra chi segue le vicende rossonere per lavoro, le parole di Boban hanno fatto il resto.
Oggi il Milan si ritrova con una società a pezzi, l'assenza di Maldini e Massara allo stadio ha segnato la distanza attuale da Gazidis, con divorzio pressoché certo a fine stagione. L'unità di gruppo società-spogliatoio, quella che fece la fortuna berlusconiana, è un ricordo per nostalgici che hanno assistito allibiti a una guerra per bande. Neppure il tentativo di puntare su vecchie bandiere ha funzionato: Leonardo è tornato al Psg, Rino Gattuso si sta divertendo a Napoli, Boban è andato, chi resta lo seguirà. Le gestione della squadra è affidata a un dirigente chiamato al Milan per far quadrare i conti e che oggi si deve confrontare con un tecnico cui ha già messo in tasca la lettera di licenziamento e con una squadra in cui ci sono giocatori che mai avrebbe voluto (vedi Zlatan Ibrahimovic, bocciato al mercato invernale 2019, quando l'ad si era appena insediato, e ingaggiato un anno dopo con chissà quale voglia). Gazidis aveva sempre spinto per un allenatore dal profilo internazionale, Rangnick corrisponde a tale idea per quanto ha saputo offrire in Germania tra Hoffenheim, Schalke 04 e RB Lipsia. Avrà carta bianca anche sotto il profilo manageriale, con voce in capitolo sul mercato, come gli è successo nell'ultima esperienza da direttore sportivo. Ma Gazidis dovrà allenarlo bene a quanto troverà in Italia, soprattutto in una piazza come quella rossonera, che vive male un digiuno che dura da troppo tempo: Rangnick nel 2011 andò via da Gelsenkirchen per una sindrome da esaurimento, corre il rischio (parafrasando Gino&Michele) che un domani gli sembri Disneyland in confronto.