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La pazienza di Angelo Gregucci

Leo Lombardi

Il tecnico ha ritrovato l'Alessandra che lo aveva lanciato nel grande calcio. Passata l'emergenza coronavirus proverà a condurla in Serie B

Ci sono luoghi del cuore dove si torna a occhi chiusi. I calciatori, più di tutti, non sono immuni a questa saudade. Prendete Angelo Gregucci, salito ad Alessandria da Taranto nel 1982, appena maggiorenne, senza patente e con una tintura bionda dei capelli che avrebbe fatto inorridire il più tamarro dei tamarri. A questa città deve l'avvio di una lunga carriera da centrale difensivo, che nel 1986 lo conduce alla Lazio. Segue il presidente Gian Marco Calleri, centra una salvezza in serie B dopo essere partito da -9 (handicap che pesava, quando la vittoria valeva due punti) a causa del secondo Totonero che aveva sconvolto il calcio italiano. Si ferma fino al 1993. Non fa in tempo a incrociare Roberto Mancini, che arriva quattro anni dopo, ma che aveva già avuto modo di conoscere ad Alessandria, quando il numero 10 della Sampdoria - insieme con il gemello Gianluca Vialli - partiva da Genova per farsi curare i malanni da Sergio Viganò, storico massaggiatore della squadra grigia. Un rapporto che sarebbe diventato determinante per Gregucci.

  

Comincia giovane ad allenare, a 34 anni, nel 1998 da vice della Reggiana. Un percorso inquieto, fatto di tante tappe e altrettante delusioni. Brevi e brucianti le esperienze in serie A: un pareggio e quattro sconfitte a Lecce nel 2005-06 e quattro sconfitte nel 2009-10 all'Atalanta. Gli anni veramente felici sono quelli di Vicenza, dove nel 2006 prende il posto di Giancarlo Camolese, suo compagno all'Alessandria e nel trasferimento alla Lazio: una salvezza immediata, ripetuta nelle due stagioni successive. Nel frattempo ha già incontrato Mancini, che lo chiama come collaboratore a Firenze nel 2001, lo vuole al Manchester City nel 2012, lo porta con sé all'Inter nel 2016, allo Zenit San Pietroburgo l'anno dopo e infine nell'Italia quando prende il posto di Gian Piero Ventura dopo la disastrosa mancata qualificazione al Mondiale di Russia. Potrebbe essere un comodo rifugio fatto solo di sicurezze, nello staff di una Nazionale che vuole ripartire dopo il tracollo e cui viene quindi tutto perdonato. Il richiamo della responsabilità diretta in panchina è però troppo forte: firma con la Salernitana a dicembre, a maggio 2019 è già cacciato dopo una sconfitta in casa contro il Cosenza.

 

Sulla panchina avversaria siede, ironia della sorte, Pietro Braglia. È l'allenatore che prende il posto di Gregucci nel 2016, alla prima esperienza di tecnico dell'Alessandria. L'ex stopper non aveva avuto esitazioni quando lo aveva contattato il giovane presidente Luca Di Masi, in città era stato bene e la gente gli voleva bene. Sostituisce Beppe Scienza e con i grigi tocca un traguardo che nessuna superava da anni: una squadra di serie C in semifinale di Coppa Italia. C'era riuscito il Bari nel 1984, ce la fa l'Alessandria trentadue anni dopo. Una corsa che la vede eliminare, sempre in trasferta, Palermo, Genoa e Spezia prima di arrendersi al doppio confronto con il Milan, con la partita di andata disputata nello stadio del Torino per poter accogliere tutti i tifosi. L'esperienza è entusiasmante per una città all'apparenza grigia (come le maglie della squadra) quale viene considerata Alessandria, ma pronta ad accendersi se il pallone gira: lo stadio Moccagatta si riempie di entusiasmo a notte fonda, quando la gente si raduna per attendere il pullman della squadra reduce dalla vittoria.

 

Una stagione che avrebbe potuto essere memorabile, in caso di promozione in B. Ma ai playoff l'Alessandria perde con il Foggia, mentre Gregucci viene esonerato. Gli succede il già ricordato Braglia, che nel campionato successivo lascia per strada un vantaggio di 10 punti sulla Cremonese, fino al licenziamento a tre giornate dalla fine e allo sconforto di una intera città, che vede salire di categoria i lombardi, primi a pari merito ma con il vantaggio degli scontri diretti. Uno choc da cui la gente fatica ancora oggi a riprendersi. Proverà a scuoterla Gregucci, che a gennaio ha ricominciato la sua storia d'amore con Alessandria: ancora una volta chiamato da Di Masi e ancora una volta in corsa. L'obiettivo immediato non potrà essere ambizioso, visto che il Monza sta mantenendo il pronostico di favorito nel girone A assegnatogli alla vigilia. Ma Gregucci non ha fretta, garantito da un contratto fino al 2021. Se e quando il calcio riprenderà, ci sarà tempo per costruire. Soprattutto in un luogo in cui si ama, e si è amati.

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