Sport che si possono fare a casa durante l'emergenza Covid-19
Stare nella propria abitazione non vuol dire non muoversi. Dalle flessioni a Zwift, sono molti i modi per stare in movimento. L'evoluzione dello sport domestico
Prima dei body iper-sgambati in lurex di Jane Fonda, c’erano una camicia nera e un paio di pantaloni alla zuava. Renato Ricci aveva gambe meno lunghe e meno belle dell’attrice americana, alla sua fotogenia non ci badava e gliene fregava poco pure della commerciabilità delle parole. D’altra parte non c’era nulla da commercializzare e “sanificazione fisica” era molto più italica e maschia del termine “aerobica”. Così quando nei primi giorni di dicembre del 1926 si trovò di fronte a un centinaio di futuri capi zona della Opera Nazionale Balilla, Ricci non badò alle parole: “Il giovane italico deve essere sanificato fisicamente. E noi saremo la forza che condurrà all'educazione fisica e morale della gioventù”. E visto che il compito era importante e soprattutto ambizioso, toccava fare le cose per bene e dare il buon esempio da subito. “Sin dal mattino. Giù il piede dal letto e immediatamente a tonificare morale e corpo”, ossia piegamenti, flessioni e circonduzioni di braccia. Insomma: i compiti per casa dei Balilla, perché “è già dalla dimora che deve uscire un nuovo omo”.
La ginnastica era una mezza novità, un’invenzione ottocentesca. Il primo corso per la formazione di maestri venne tenuto nell’agosto del 1861 a Torino, un passatempo per la buona borghesia, anche perché il popolo aveva altro a cui pensare, in primis mettere insieme il pranzo con la cena. Era un’occupazione sociale, da praticare nelle prime palestre che piano piano, come funghi, sorgevano nel sottobosco danaroso delle grandi città italiane. Ma era allo stesso tempo, per qualcuno almeno, una missione. Costantino Reyer, colui che diede il nome alla prima palestra a Venezia (quella dalla quale nacque la squadra di basket che ha vinto l’ultimo campionato italiano), era uno di questi. Fu tra i primi a fare in modo che l’educazione fisica entrasse nelle scuole veneziane (nel Regno di Sardegna entrò nel 1859, la prima legge dello stato italiano fu del 1871). Non era ancora il tempo però di farla entrare nelle case degli italiani. Anche perché nessuno ne avrebbe mai sentito l’esigenza.
D’altra parte “praticare attività fisica null’altro è che volontà di uscita dal bozzolo domestico, un’evasione sociale dalla quotidianità, abbracciare il mondo immergendosi in esso”, spiegò lo scrittore Luigi Meneghello al Gazzettino nel 1991. Lo scrittore di Malo (provincia di Vicenza) temeva che l’aumento della “diffusione delle videocassette di aerobica, delle cyclette e dei tapis roulant, che ormai orpellano le stanze venete”, potesse rovinare e far perdere “la bellezza del muoversi assieme, la capacità dello sport di essere collante tra le persone. Nulla c’è di più assurdo della domesticazione del moto”.
Era, quello descritto da Meneghello, un mondo in avanzato stato di cambiamento, di atomizzazione di una società, quella veneta, che a stento riusciva a riconoscere. Un mondo che è andato avanti verso la strada intravista dallo scrittore, ma che, in un modo o nell’altro, non l’ha seguita fino in fondo, mantenendo comunque una sua forte dinamica sociale.
In questi giorni di campagne #IoRestoaCasa, di vita casalinga per tentare di bloccare il prima e il meglio possibile la propagazione del coronavirus, lo sport, o quanto meno il movimento, si è dovuto per forza domesticare, chiudersi anch’esso entro quattro mura. Sebbene correre o andare in bicicletta, da soli e ben lontani dagli altri non sia vietato, in molti, dai professionisti ai dirigenti delle Federazioni, hanno chiesto alle persone di non muoversi, perché, in una situazione del genere, il “non si può mai sapere” diventa un comandamento e la prudenza una necessità. Stare a casa però non vuol dire fermarsi. Perché non è mai stato così facile fare sport dentro quattro mura. YouTube è pieno di materiale per rimanere in forma, sui principali store online esistono un numero indefinito di attrezzi per fare sport per qualsiasi disponibilità economica, per un tapis roulant decente ormai si spende qualche centinaio di euro, mentre flessioni, piegamenti, saltelli eccetera sono gratuiti: basta solo la buona volontà.
Il mondo che Luigi Meneghello aveva iniziato a scorgere (e da cui era spaventato) non si è rivelato, in fin dei conti, così spaventoso. Anzi, si è realizzato ciò che lo scrittore aveva indicato come “l’unico aspetto positivo della domesticazione dell’attività fisica”, ossia “lo sfogo dell’immaginare il mondo”. La tecnologia infatti ci ha permesso di simulare tra le mura di casa la realtà esterna.
Soprattutto quando si pedala. Da qualche anno esiste Zwift, ossia un’app che tramite un software dà la possibilità di pedalare in mondi reali o immaginari. Serve collegare i rulli (interattivi o no), ossia un sistema che permette di pedalare stando fermi, a uno schermo. È lì che appaiono strade, vere o immaginarie, nel quale un avatar pedala con la nostra cadenza, velocità, forza, mentre la pendenza è simulata in modo realistico. È certo un palliativo del movimento, la bellezza del pedalare si ridimensiona ampiamente. I tempi però sono quelli che sono e c’è bisogno di adattarsi.
Lo sport si è sempre più avvicinato al gioco e del gioco ha preso l’attrattività e la facilità di praticarlo. È questo a essere cambiato dagli esercizi che Renato Ricci aveva pensato per la gioventù fascista. È un cambiamento che era stato reso palese dall’uscita della Nintendo Wii, la console che tramite un sistema di rilevazione del movimento (del controller) permetteva di giocare muovendosi e di essere utilizzata anche come un centro fitness a domicilio.
Fintanto che le case saranno il nostro mondo possiamo sfruttarle per farci trovare pronti per quando le porte saranno riaperte e la normalità ritornerà ad abbracciarci.