Ayrton Senna oggi festeggerebbe i suoi sessanta anni disponendo un bonifico per chi sta combattendo il virus maledetto. Pensare agli altri, ai più poveri, ai più sfortunati è sempre stata una sua missione. Come vincere in pista. “I ricchi non possono vivere su un’isola circondata da un oceano di povertà. Noi respiriamo tutti la stessa aria. Bisogna dare a tutti una possibilità”, è la frase che rimbalza dall’homepage della Fondazione Senna, ma è anche un modello cui si era sempre ispirato. Lo faceva di nascosto, versava denaro senza raccontarlo in giro e soltanto un anno prima di andarsene ne parlò con sua sorella Viviane per allestire la Fondazione attraverso cui voleva occuparsi dei bambini brasiliani. Nel 1995, anno di nascita, erano ventimila, oggi sono più di mezzo milione, la Fondazione si occupa della loro istruzione, del loro sostentamento. Senna era nato ricco, coccolato da mamma Neide e papà Milton. Non era un Niños de Rua. Ma era un ragazzo che non viveva con i paraocchi. Sapeva di essere un privilegiato, si godeva il suo stato, non c’è dubbio, ma pensava anche a chi non aveva avuto la sua fortuna.
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