La cosa più difficile è guardarli negli occhi e strappare loro via l’ansia dal cuore. “A volte la percepisci forte, è ansia, è la paura, ti osservano e ti dicono: “Dottoressa io non voglio avere il virus della tv”. I bambini sospetti transitano qui, ma negli ultimi giorni i peggioramenti li abbiamo visti con gli adulti: aspettavamo l’ondata e infatti sta arrivando. Qualche bambino positivo c’è, quasi tutti asintomatici. Dobbiamo mantenere la calma, ragionare”. Catherine Bertone lavora in pediatria all’ospedale Beauregard di Aosta. Fa quasi sempre il turno di notte, le va bene così, “ne ho vinto un altro per stasera”, e poi sorride, scherza al telefono, cercando una normalità in questo delirio. E poi c’è la corsa. Certo, prima che scoppiasse la pandemia, Catherine stava preparando la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo. Adesso l’idea dei Giochi si regge sul nulla, anche quelli sono diventati un pensiero marginale, laterale, confinato a un futuro incerto. Mentre il correre è diventato un gesto più profondo e più utile, quasi di sopravvivenza. “Ne ho riscoperto quel forte senso di libertà”, racconta al Foglio Sportivo, “ma andare a correre in valle è più facile, ho i boschi sotto casa, c’è molto spazio. Ieri sono uscita per un allenamento medio con un po’ di salita: ho incontrato una lucertola e una gallina scappata dal pollaio, in pratica non c’è in giro nessuno”.
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