Edward Hopper, Room in brooklyn

il foglio sportivo - il ritratto di bonanza

Il calcio, il solista e il solo

Alessandro Bonan

Nel gioco del pallone il gruppo vale per tutti e all’uno è demandato il compito di rappresentare l’eccezione

Il virus ha bisogno di noi per diffondersi, primo paradosso di questa allucinante situazione. Perché cercare l’altro quando nessuno ti vuole è tipico di chi è solo. Ecco perché ci siamo chiusi in casa, per non lasciare a questo ospite sgradito di stringerci la mano. Ma per conseguenza inevitabile, siamo stati noi a rimanere isolati, visto che la globalità dei social altro non è che l’illusione di avere molti amici. Senza dimenticare quelli rimasti a casa veramente da soli, privi di una famiglia, molti anziani, che ondeggiano malinconicamente tra la camera e il salotto, chiedendosi il perché dalla finestra filtri, di questi tempi, tanto inutile sole. La solitudine fa parte della vita, è una condizione in certi casi anche cercata, fortemente voluta. Pietro Mennea era un velocista solo. Sorrideva pochissimo, parlava coi silenzi e correva in pista come se il mondo intorno a lui non esistesse. Comportamento tipico di molti fenomeni di tutti quegli sport dove il singolo vale per uno.

 

Nel calcio il gruppo vale per tutti e all’uno è demandato il compito di rappresentare l’eccezione. Solo che bisogna distinguere tra solo e solista. Il secondo rifinisce il coro, spiccando con la sua voce tagliente, a volte tradotta in un gorgheggio che rappresenti il finale di spartito, il gol. Il solo è un’altra cosa. Il solo di una squadra è come un vigile che non capisce il senso in cui deve seguire il traffico, è il batterista che picchia contro tempo mentre il basso lo riconduce inutilmente al suo dovere, e tutto il resto della band lo incenerisce con lo sguardo. Il solo è Eriksen, che ancora non sa bene dove andare. Sembra fermo e invece scorre. Conte non gli ha ancora dato un ruolo se non quello di Lazzaro, non l’ex interista con una zeta in meno, ma il biblico, a cui si pensa tutte le volte che immaginiamo una qualche resurrezione. Il solo è Rabiot, una giraffa nel parco, che tutto guarda senza toccare, che quando tocca non sa cosa inventare. Se lo metti a destra, con il suo piede mancino, difficilmente trova una traccia importante. Se lo sposti a sinistra si muove più spontaneo ma quando parte s’ingolfa, perennemente intenzionato a dire qualcosa che non riesce a fare. Il solo, nel calcio, è come un anziano dentro casa in questi tempi di abbandono, perennemente alla ricerca di una poltrona dove sedersi, guardare la tv, oppure chiedersi, davanti alla finestra, come mai di questi tempi, ci sia nel mondo tutto questo inutile sole.

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