il foglio sportivo
Libri in assenza di ciclismo
Il Giro d’Italia n. 103 potrà, anzi dovrà, essere la più grande ed emozionate manifestazione di rilancio del nostro paese. Nel frattempo meglio leggere
In queste settimane, senza retorica, drammatiche, in cui lo sport che spesso è stato capace di anticipare le grandi questioni del vivere civile, ma che in questa occasione si è mosso in ritardo, titubante, attendista, talvolta cinico, mi stringo forte a un’idea: un’utopia, forse? In questo momento in cui tutte le manifestazioni sportive della prossima primavera-estate sono saltate o stanno saltando (finalmente e con colpevole ritardo, anche l’Uefa e il Cio si sono arresi alla realtà dei fatti) c’è un evento sportivo che, al solo pensiero, mi fa venire la pelle d’oca: il Giro d’Italia.
Il calendario previsto non potrà essere rispettato e, dopo l’annullamento delle prime quattro tappe che si sarebbero dovute correre in Ungheria, soltanto dopo il 3 aprile si potrà, forse, individuare il periodo giusto. E quel timing sarà decisivo, perché il Giro d’Italia n. 103 potrà, anzi dovrà, essere la più grande ed emozionate manifestazione di rilancio del nostro paese, una vera e propria ripartenza tanto per il mercato interno (non solo quello economico) quanto per la gigantesca opportunità di diventare una nuova narrazione dell’Italia agli occhi del mondo. Sarà un compito altissimo quello a cui sarà chiamata la carovana del Giro, pari a quello del 1946 quando, al termine della Seconda Guerra Mondiale, fuoriclasse come Bartali e Coppi o “maglie nere” come Malabrocca, compattarono letteralmente un paese che era uscito in ginocchio dal terribile conflitto. Il ciclismo è sempre stato uno sport letterario e, certi che il Giro potrà essere la più toccante delle risposte a questa emergenza di salute, economia e mood della nazione, utilizziamo questo tempo sospeso per nutrirci di quelle emozioni che solo il ciclismo riesce a dare. Scelgo due testi molti diversi fra loro, entrambi affascinanti.
Il primo è opera di un collettivo di scrittori che si identifica con il nome “Bidon” (la borraccia per la quale i tifosi si accapigliano al passaggio del gruppo): Chissà che l’utopia non vinca, (Editore Bidon – Ciclismo allo stato liquido, 2018). Al di là del titolo, meraviglioso e attualissimo, questo libro che vorrebbe essere la narrazione della stagione ciclistica 2018, è invece mille volte di più: è storia, leggenda, cronaca, storytelling. Si pedala in compagnia di Hemingway (e si scopre perché mai volle scrivere di ciclismo, consapevole che non sarebbe stato in grado di riprodurre un racconto bello quanto le corse stesse), Nibali, il compianto Scarponi, Chaves, Quintana, Giotto da Bondone (il vero inventore delle corse a tappe!), Sagan, Roland Garros e tanti altri protagonisti di un meraviglioso gruppo che attraversa le dimensioni dello spazio e del tempo.
Il secondo libro è un classico assoluto che chiunque voglia diventare narratore di sport dovrebbe mandare a memoria: Dino Buzzati, Dino Buzzati al Giro d’Italia (Mondadori Editore, 1°ed. 1981). Venticinque reportage dello straordinario inviato del Corriere della Sera al Giro del 1949, dove ci si imbatte in pagine epiche, come quelle che trasformano Coppi in Achille e Bartali in Ettore, ma la cui pagina che più mi affascina si trova nella parte iniziale del libro: in una notte palermitana, Buzzati descrive i tormenti di un anonimo membro della carovana, meccanico o massaggiatore non si sa, che si lamenta tutto il santo giorno, impreca, prevede strapazzi, fatica, pioggia, dice che il ciclismo è morto, brontola, suda, fuma fino a tarda notte: “Uno spostato, vien fatto di pensare a prima vista, uno costretto a lavorare a contraggenio in un ambiente a lui odioso. Tale, a prima vista. Ma poi ho cambiato idea. Lo osservo adesso, quando mugugna e se ne va intorno con quel suo fare da imbronciato bulldog, lo osservo con grandissimo piacere e mi domando: da quanto tempo non vedevo un uomo così felice?”.