La figurina sbagliata di Ezio Vendrame
Se si sfoglia l'album Panini della stagione 1967-68 l'ex attaccante morto sabato scorso non c'è. Eppure il suo volto è ritratto sopra il nome di un altro. Gildo Rizzato, suo compagno alla Spal, racconta la storia di quella foto
“Quel giorno è andata proprio così”, racconta Gildo Rizzato. “Il fotografo venne al campo della Spal per farci i ritratti per l’album delle figurine Panini della stagione 1967-68. Era novembre, avevo appena esordito in serie A, ma io quel giorno non c’ero. Ero stato convocato dalla Nazionale juniores. Il fotografo poteva mica tornare solo per me e allora chiese a Ezio di posare. Alla fine sull’album venne pubblicata la ‘mia’ figurina, col nome e tutto quanto. Ma la faccia non era la mia”.
La faccia era quella di Ezio Vendrame che, nella stagione 1967-68, era compagno di squadra di Gildo Rizzato nelle giovanili della Spal. Non avevano ancora vent’anni. Vendrame li avrebbe compiuti il 21 novembre, Rizzato qualche mese dopo, il 2 febbraio del 1948. Erano giovani rincalzi di belle speranze. Rizzato, appunto, era già stato buttato nella mischia il 5 novembre del 1967, in Spal-Varese, 1-3. In panchina c’era Francesco Petagna, gloria calcistica della Triestina del primo dopoguerra, e poi per cinque anni allenatore dei ferraresi. Con la squadra del presidente “Pavlon” Mazza, il “mago di campagna”, grandissimo talent scout, Petagna – che tra l’altro è il nonno di Andrea Petagna – valorizza molti futuri campioni: per esempio, proprio nel 1967 Fabio Capello, cresciuto nel vivaio, passa alla Roma per la considerevole cifra di 260 milioni.
Gildo Rizzato è tra le giovani promesse che nelle giovanili crescono sotto l’ala paterna di un allenatore molto amato dai suoi ragazzi: Giambattista Fabbri. Ezio Vendrame arriva invece dalle giovanili dell’Udinese. Si trovano, ventenni, a fare le riserve di Dell’Omodarme e dell’argentino Oscar Massei, a Gastone Bean e a Giovanni Brenna. A Ferrara c’è un settore giovanile di grande prospettive. All’epoca si gioca al mercoledì il torneo De Martino, in cui le squadre di A fanno scendere in campo le riserve poco utilizzate e i giovani del vivaio.
“Nel 1967-68 mentre la prima squadra lottava per non retrocedere, noi nel De Martino, allenati da Gibì Fabbri, facemmo un gran campionato – racconta Gildo Rizzato – Eravamo tutti ragazzi nati tra il ’45 e il ’48. C’era in porta Renato Cipollini, in difesa Luigi Pasetti, Lauro Pomaro e Paolo Stanzial, a centrocampo Arturo Bertuccioli ed Edoardo Reja; in attacco, insieme a me, che in quel torneo feci 15-16 gol, giocava Albertino Bigon e, appunto, Ezio Vendrame. Arrivammo infatti alle finali a quattro di Salsomaggiore, a fine aprile. Nella prima partita battemmo il Napoli per 4-1, e feci gol anch’io. In finale incontrammo la Fiorentina”.
Anche i giovani della Fiorentina, allenati da Andrea Bassi, erano molto forti: c’erano Luciano “Cavallo Pazzo” Chiarugi, Ciccio Esposito, Claudio Merlo, Ugo Ferrante, Eraldo Mancin. In porta giocava Franco Superchi. Proprio Chiarugi portò in vantaggi i viola. Bigon segnò il gol dell’1-1. All’epoca il regolamento prevedeva, in caso di pareggio, solo i tempi supplementari. Se il risultato non si sarebbe sbloccato, le sorti dell’incontro sarebbero state decise non dai calci di rigori, ma dal lancio della monetina. Il presidente (e padre-padrone) Paolone Mazza era molto preoccupato per il prolungarsi del match ai tempi supplementari. Molti giocatori infatti avrebbero dovuto giocare la domenica dopo nella delicata partita casalinga contro l’Atalanta, diretta rivale in un’ancora apertissima lotta per non retrocedere. Pare che dalla panchina avesse addirittura ordinato di commettere un fallo da rigore nella propria area, così da far terminare la partita al 90esimo. Ma i ragazzi per nessuna ragione al mondo volevano perdere così quella finale. La partita continuò sull’1-1 e per tutti i supplementari gli spallini resistettero all’assalto finale dei viola. Al termine dei 120 minuti l’arbitro tirò la monetina: testa o croce. Vinse la SPAL, prima squadra provinciale a conquistare il Campionato dedicato alle “seconde squadre”. I ragazzi di Gibì Fabbri esultarono, i fiorentini furibondi, minacciarono vendetta: “Vi manderemo in B”.
I timori del presidente Mazza non si concretizzarono. Nella terzultima giornata di campionato, la SPAL battè l’Atalanta in casa per 1-0, con gol al 92’ di Bertuccioli. La domenica dopo però i ferraresi andarono a Firenze a giocarsi le residue speranze di salvezza, quartultimi in classifica con 22 punti, a pari merito con Lanerossi e Atalanta; dietro a due punti il Brescia; ultimo il Mantova a 16 ultimo e già matematicamente retrocesso.
Ma, come promesso, i viola si vendicano. Segnano con De Sisti e Maraschi e battono 2-0 la Spal. L’Atalanta vince col Bologna e la stacca; Vicenza e Brescia pareggiano fra loro. All’ultima giornata, la SPAL è terzultima, due punti dietro l’Atalanta e uno il Lanerossi, e uno sopra al Brescia. La Fiorentina che gioca a Vicenza si mostra molto più remissiva di sette giorni prima e perde (gol di Vinicio), l’Atalanta pareggia in casa con la Samp e il Brescia in trasferta col Napoli. A questo punto la SPAL dovrebbe fare l’impresa e battere il casa la Juventus: ma perde per 1-0, con gol di Zigoni. E retrocede.
Vinicio e Zigoni non sono nomi qualunque, se non altro perché ci riportano a parlare di Vendrame. Il primo, anni dopo, sarà l’allenatore-nemico di Ezio nella sventurata esperienza al Napoli; col secondo, amico di campo e follie, Vendrame firmerà un libro, sempre molti anni dopo. E tornando proprio a Vendrame, Rizzato lo ricorda così: “In quella SPAL di belle speranze, Ezio già mostrava tutto il suo talento, ma anche la sua sregolatezza. Era difficile inquadrarlo. L’allenatore faceva fatica a capirlo. Un giorno c’era, l’altro no. Imprevedibile, fuori e dentro il campo”, continua Rizzato.
A differenza di Gildo, Ezio infatti non esordisce in serie A in quella stagione col la SPAL. Petagna non lo giudica pronto, troppo inaffidabile. “E sì che avrebbe meritato più di tutti, per tecnica, fantasia, colpi di genio… Ma a calcio si gioca in 11, mica da soli. Però quando Ezio era in vena, con lui in campo sembrava di essere in 12. Mi ricordo anche le trasferte. Si portava dietro la chitarra e cantava per tutti”.
Gildo Rizzato
Le strade di Rizzato e di Vendrame si separano dopo quella stagione. Riprende a raccontare Rizzato: “Quella squadra venne smembrata, a differenza dei finalisti della Fiorentina che, l’anno dopo, costituirono l’ossatura della squadra che con Pesaola vinse lo scudetto, anche grazie al contributo del nostro compagno Stanzial, acquistato in estate. Vendrame venne dato in prestito alla Torres, e poi al Siena. Io rimasi ancora un anno, poi passai all’Empoli. Nel 1971 mi chiamò Petagna che era andato ad allenare la Triestina, dove giocai due anni, conquistando il primo anno la promozione dalla D alla C. Quindi lo seguii per altre due stagioni alla Sangiovannese, in Valdarno, sempre tra D e C. Nel 1977 chiusi la mia carriera nel Monselice. Vendrame non lo incontrai più”.
Rizzato ha il cuore diviso tra due passioni: il calcio e il ciclismo. Alla fine degli anni Settanta, attraverso il suocero, grande amico di Giacinto Benotto, Gildo inizia a lavorare nel mondo della produzione ciclistica. Sono gli anni in cui il marchio Benotto vince grazie a Francesco Moser, campione del mondo in Venezuela e per tre anni consecutivi “Monsieur Roubaix”. Fin dagli anni Cinquanta i Benotto hanno spostato la produzione in Messico, ma proprio a Rizzato affidano l’apertura di una filiale europea. Nei primi anni Ottanta la Benotto in Italia e in Europa incrementa il proprio fatturato grazie all’impegno imprenditoriale di Gildo.
Gildo scherza anche sul nome: “Quando incontravo Cesare Rizzato, padovano come me e costruttore di telai fin dal 1921, quindi titolare dei marchi Atala, Dei e Maino, mi diceva, prendendomi in giro, che era inconcepibile che uno col suo stesso cognome gli facesse concorrenza”.
Nel 1987, chiusa l’esperienza con Benotto, Rizzato fonda la GR Bike, una trading company che commercializza articoli e accessori ciclistici, proposti dalle migliori ditte internazionali. Ma il richiamo del football alla lunga ha ancora la meglio: qualche anno dopo, nel 1991, chiamato dal cugino Giancarlo Pastorello, imprenditore nel settore turistico, Rizzato per quasi vent’anni diventa patron e presidente dell’Abano Calcio, tra Promozione, Eccellenza e serie D.
Nell’autunno del 1967 Gildo Rizzato per un buffo colpo del destino perse per sempre l’occasione di essere immortalato dalla Panini: fino alla metà degli anni Settanta, negli Album venivano rappresentate solo le formazioni di serie A. L’anno successivo, il suo secondo alla Spal, la formazione era infatti retrocessa nella serie cadetta. Gildo Rizzato non fu mai una figurina Panini. O fu una “figurina sbagliata”.
Sliding doors. Destini diversi, e per certi versi opposti, quelli di Rizzato e Vendrame. Ma ancora oggi Gildo ricorda quel bizzarro compagno di squadra che, quando era di luna buona, faceva giocare la squadra in 12 ma non voleva essere “inquadrato”, nemmeno in una figurina Panini.
Il Foglio sportivo - In corpore sano