Quando la periferia europea conquistò l'Europa del calcio
Gli anni Duemila del calcio europeo si aprono e si chiudono con le vittorie di squadre di campionati per decenni considerati minori. Dalla Turchia alla Russia passando per l'Ucraina, un viaggio tra scelte azzeccate e petroldollari
Questi primi vent’anni del Duemila li potremmo aprire con l’attentato alle Twin Towers di New York, con tutto quello che n’è scaturito dopo, e chiudere con la pandemia di Covid-19 che stiamo affrontando, con nel mezzo la crisi economico-finanziaria del 2008 che ha fatto traballare i bastioni di Orione del capitalismo. Sono stati anni di tsunami, terremoti, attentati, blackout energetici, avvisaglie di pandemia, rientrate senza farci riflettere abbastanza, e ripresa delle ostilità un po’ il tutto il mondo. Davvero difficile trovare cose buone. Nel calcio, quel calcio che adesso è fermo e non sa quando ripartirà, nelle coppe europee, c’è stata la rivincita delle squadre dell’Est, che per qualche anno si sono impadronite dell’Europa League, appena prima dell’avvento del Fair Play Finanziario il quale, seppur centrato nei principi fondativi, ha di fatto cristallizzato la ricchezza dei club europei, consegnando quasi sempre agli stessi le chiavi per la vittoria finale. Sarà un caso se, di fronte al fermo dovuto alla pandemia, si sta parlando di sospenderne il meccanismo, in modo da permettere alle società di riprendersi, anche e soprattutto, economicamente. E allora rileggiamo la storia delle ultime, in ordine cronologico, regine per una notte, in attesa, un giorno, di raccontarne altre.
Galatasaray, Europa League, 17 maggio 2000
La Coppa Uefa, diventata Europa League, a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila è una babele calcistica, con centinaia di squadre e turni preliminari che paiono gironi danteschi. Al via della stagione 1999-2000 ci sono cinque club italiani: Bologna, Juventus, Parma, Roma e Udinese. Plotone che arriva intatto ai sedicesimi di finale, nei quali i rossoblù vengono eliminati dai turchi del Galatasaray, squadra in ascesa e allenata da Fatih Terim, soprannominato Imperatore, già Ct della Turchia e futuro tecnico di Fiorentina e Milan, prima di tornare definitivamente in patria. Negli ottavi perdiamo il resto, la Roma è eliminata dal Leeds Utd, l’Udinese dallo Slavia Praga, il Parma dal Werder Brema e la Juventus dal Celta Vigo. Alla finale unica (introdotta dalla stagione 1997-98, quella di Inter-Lazio al Parco dei Principi) di Copenaghen arrivano Galatasaray e Arsenal, quello di Wenger e Tony Adams, Petit e Vieira, Overmars e Bergkamp, Henry e Nwankwo Kanu. I turchi, provenienti dal gruppo H di Champions League, hanno eliminato, oltre il Bologna, Borussia Dortmund, Maiorca e Leeds Utd, con strascichi di scontri drammatici tra rispettivi hooligans che provocano pure due morti. Anche l’Arsenal proviene dalla Champions, leitmotiv degli anni Duemila, come terza del gruppo B, dietro Barcellona e Fiorentina. Nel suo cammino ha battuto Nantes, Deportivo La Coruna, Werder Brema e Lens. Il Galatasaray si oppone con forza a una finale tutta inglese prima e interpreta la gara di Copenaghen poi come una resistenza a oltranza per arrivare ai calci di rigore. Il 17 maggio al Parken arbitra lo spagnolo Lopez Nieto e l’Arsenal, nonostante il suo talento, non riesce a piegare il Galatasaray che si esalta nella resilienza e nella battaglia grazie al portiere brasiliano Taffarel (votato come Mvp della partita), a uomini di esperienza come i rumeni Popescu, Hagi e i turchi Buruk, Erdem e Sukur. Dopo centoventi estenuanti minuti si arriva ai rigori come voluto da Terim: Ergun Penbe segna per il Gala, Taffarel intuisce quello del croato Suker che mette la palla sul palo, Sukur segna ancora, così come Parlour e Davala, siamo sul 3-1. Vieira, insicuro, stampa il pallone sulla traversa regalando a Popescu il penalty della vittoria, tiro secco a fil di palo, Seaman intercetta ma non riesce a deviare la palla e la sua disperazione affoga nel tripudio turco. Il Galatasaray vincerà anche la Supercoppa Europea, regalandosi il momento più alto della sua storia centenaria.
CSKA Mosca, Europa League, 18 maggio 2005
I gironi, come in Champions, hanno fatto la loro comparsa pure in Europa League, un modo per fare emergere i valori tecnici più importanti, con il ripescaggio delle terze dalla coppa regina. Nella fase a gruppi l’Italia è rappresentata esclusivamente da Parma, che passerà il turno, e Lazio che sarà eliminata, avendo perso per strada l’Udinese nei turni preliminari. Nel gruppo D lo Sporting Lisbona si qualifica come terzo, dietro Newcastle United e Socheaux, mentre il CSKA Mosca, allenato da Valery Gazzaev, è arrivato terzo nel gruppo H di Champions, dietro Chelsea e Porto. I portoghesi biancoverdi eliminano Feyenoord, Middlesbrough, Newcastle United e AZ Alkmaar. I russi, invece, si sbarazzano di Benfica, Partizan Belgrado, Auxerre e Parma in semifinale, pareggiando 0-0 in Italia e vincendo 3-0 in casa. La finale si gioca il 18 maggio allo stadio José Alvalade di Lisbona, un grande vantaggio, sulla carta, per la formazione guidata da José Peseiro, che ha nel portiere Ricardo e nel centrocampista Joao Moutinho i suoi uomini guida. La partita, come da copione, la fanno i portoghesi, spinti dal pubblico amico, e al 29’ passano con un bellissimo gol di Rogerio, che riceve palla da Rochemback e con l’interno a giro insacca alle spalle di Akinfeev. Il CSKA avrebbe l’occasione per pareggiare al 43’, quando Olic pesca Vagner Love solo davanti alla porta, ma il tocco è molle e il pallone finisce fuori. Nella ripresa i russi si difendono aspettando il momento migliore per colpire e lasciando gioco e possesso palla allo Sporting che non s’avvede della trappola. Il gol del pareggio al 56’ è casuale, su palla inattiva i biancoverdi difendono male e Berezutskiy colpisce di testa sorprendendo Ricardo, è 1-1. I portoghesi attaccano a testa bassa e i russi al 65’ colpiscono con Zhirkov in contropiede, tra le gambe di Ricardo. Lo Sporting Lisbona alza il ritmo, sbaglia gol fatti e al 75’ subisce l’inevitabile 1-3 su un altro contropiede del solito Zhirkov che serve il brasiliano Vagner Love solo in area e questa volta non può sbagliare. Per entrambe questa era la prima finale di Europa League, a prevalere è stata la tattica russa che ha permesso al CSKA Mosca di vincere la sua prima e ancora oggi unica coppa europea.
Zenit San Pietroburgo, Europa League, 14 maggio 2008
Questi anni Dieci del Duemila sono quelli degli oligarchi russi ed ucraini che finanziano i club, come estensione del proprio ego e delle proprie ricchezze, non sempre trasparenti. Per le italiane i tempi d’oro sono finiti da tempo e nell’ultimo turno preliminare perdiamo Empoli, Sampdoria e Palermo, mentre avanza la Fiorentina allenata da Cesare Prandelli. Lo Zenit San Pietroburgo, guidato dall’olandese Dick Advocaat con in squadra Malafeev, Tymoschuk e Arshavin passa il turno nel gruppo A per il rotto della cuffia e grazie a un solo punto in più rispetto all’AZ Alkmaar, dietro Everton e Norimberga. La Fiorentina si qualifica come seconda del C e i Rangers di Glasgow, che avranno un ruolo con entrambe le squadre, sono paracadutati dalla Champions come terzi del gruppo E, dietro Barcellona e O. Lione. Nei sedicesimi lo Zenit elimina il Villareal grazie al gol segnato in trasferta, stessa cosa per i Rangers contro il Panathinaikos, mentre la Fiorentina fa fuori il Rosenborg senza tanti problemi. Negli ottavi la lotta è ancora più dura e i russi superano l’O. Marsiglia (1-3 e 2-0), gli scozzesi il Werder Brema (2-0 e 0-1), gli italiani l’Everton ai calci di rigore. Nei quarti un’ottima Fiorentina ha ragione del PSV Eindhoven, i Rangers dello Sporting Lisbona e lo Zenit del Bayer Leverkusen. In semifinale ai russi tocca il Bayern Monaco, mentre ai Rangers la Fiorentina. La squadra di Advocaat è cresciuta e strapazza i tedeschi, mentre l’equilibro regna tra Scozia e Italia, un equilibrio spezzato esclusivamente dai rigori, che questa volta però sorridono agli avversari. Il 14 maggio al City of Manchester si gioca la finale, inedita, tra russi e scozzesi, una bella partita segnata da varie occasioni da gol, si corre, si lotta, come nella migliore tradizione, ma il talento è tutto dalla parte dello Zenit che al 72’ passa con Denisov: break a centrocampo di Arshavin, palla filtrante per l’interno russo che entra in area e beffa Alexander. Il match s’infiamma, diventa ancora più bello, con occasioni da una parte e dall’altra, e si conclude con l’ultima perla di Arshavin che pesca Tekke in area, cross al centro che impatta con i piedi di Zyryanov a due passi dalla linea di porta: 2-0 e tutti a casa.
Shakhtar Donetsk, Europa League, 20 maggio 2009
La carrellata delle nostre regine si conclude con una squadra ucraina, lo Shakhtar Donetsk, allenata dal rumeno Mircea Lucescu, vecchia conoscenza del calcio italiano, tecnico innovatore che con il club arancione ha mostrato un calcio divertente e moderno, dando filo da torcere a squadre più blasonate e portandolo a vincere l’unica coppa europea della sua storia. Questa volta, nei turni preliminari, perdiamo il Napoli eliminato dai portoghesi del Benfica. Nei gruppi, invece, riusciamo a qualificare Milan, fatto fuori dal Werder Brema nei sedicesimi, Sampdoria, idem dal Metalist Charkiv e Udinese, che invece batte il Lech Poznan. Proprio il Werder e lo Shakhtar Donetsk, invece, sono arrivati dalla Champions, i tedeschi come terzi del girone B dietro Panathinaikos e Inter, gli ucraini nel C dietro Barcellona, che poi vincerà la coppa, e Sporting Lisbona. Nei sedicesimi di Europa League eliminano, rispettivamente, Milan, appunto, anche se solo grazie ai gol in trasferta, e Tottenham Hotspur. Negli ottavi di finale il Werder Brema batte il Saint-Etienne, lo Shakhtar il CSKA Mosca e l’Udinese lo Zenit San Pietroburgo. I bianconeri sono allenati da Pasquale Marino, all’epoca tecnico emergente, in porta c’è Handanovic, a centrocampo Inler e Asamoah, in attacco Sanchez, Di Natale e Quagliarella, non male. Ma non basterà nei quarti di finale per superare proprio i biancoverdi di Brema che vincono 3-1 in casa e pareggiano 3-3 a Udine. La formazione allenata da Lucescu fa fuori l’O. Marsiglia e le semifinali sono due derby. Il Werder Brema contro l’Amburgo, lo Shakhtar Donetsk contro la Dinamo Kiev. Sono due gare combattute, il Werder perde in casa 1-0 ma riesce nell’impresa di vincere il ritorno 3-2, lo Shakhtar pareggia a Kiev e poi batte 2-1 la dinamo a Donetsk; ecco un’altra finale inedita, ecco un’altra squadra dell’Europa dell’Est che mette tutti in fila. La finale si gioca il 20 maggio allo stadio Sukru Saraçoglu di Istanbul e se la formazione allenata da Thomas Schaaf è un telaio tedesco con qualche innesto sudamericano, come il brasiliano Naldo e il peruviano Pizarro, quella di Lucescu ha un’anima brasiliana con cinque titolari verdeoro, più la mente e il cuore del croato Srna, giocatore poco raccontato e troppo sottovalutato. Il gioco è tutto nei piedi degli arancioni che con la linea d’attacco brasiliana fanno impazzire Prödl e compagni fino all’1-0, segnato da Luiz Adriano al 25’, con lo scavetto a superare Wiese. Lo Shakhtar potrebbe tracimare ma un po’ di presunzione provoca una punizione che Naldo tira forte e centrale, Pjatov c’arriva impreparato e si fa piegare le mani: incredibile 1-1 al 35’. Match bello e intenso con i tedeschi e gli ucraini che sfiorano il gol a vicenda. Nella ripresa Pjatov si fa perdonare salvando su velenoso colpo di testa di Pizarro. Si va ai supplementari, al 97’ Jadson riceve palla in area e colpisce di prima intenzione, Wiese si fa sorprendere e lo Shakhtar passa in vantaggio con un altro gol brasiliano. Il resto è un palleggio sudamericano con qualche incursione tedesca, ma il risultato non cambia e Mircea Lucescu riesce in un’impresa personale e di squadra che ha fatto la storia del calcio ucraino. Chissà se riaccadrà ancora, chissà se vedremo nuove principesse diventare regine per una sola notte. In attesa di rivedere il calcio che abbiamo sempre seguito e sognato, da appassionati e da giornalisti.