La fragilità degli invincibili
Depressione, insonnia, paure e una nuova "visibilità". Come è fragile il calcio che si prepara a ripartire. Parla Fabio Cola, psicologo che insegna a Coverciano
A Bologna si sono fatti dare i numeri dei tifosi più anziani, quelli che il tempo lo stanno trascorrendo immersi nella solitudine. Orsolini ha telefonato al signor Luigi di Medicina, una delle zone rosse, lo ha dovuto fare due volte perché alla prima Luigi non gli aveva creduto; Riccardo gli ha chiesto della cena, di come stava trascorrendo le ore lunghe della pandemia, se si sentiva bene. Semplicità impareggiabili. “Dobbiamo immaginare come la popolarità per un calciatore, sempre vissuta come un’invadenza, magari con la richiesta di un autografo o di una foto, sia improvvisamente cambiata. I giocatori sono passati dallo stare davanti a trentamila, quarantamila persone allo stare chiusi nel salotto di casa. E questa improvvisa mancanza ha creato l’effetto opposto, portandoli a ricercare una popolarità diversa, magari attraverso i social, sostenendo un contatto virtuale”. Fabio Cola, laureato in Psicologia, consulente e formatore che si occupa di interventi sul tema della relazione interpersonale in differenti ambiti, dice che da questa situazione anche il calcio in fondo potrebbe “esprimere comportamenti esemplari, che aiutino chi osserva a ritrovare una dimensione umana e collaborativa”.
A Parma i giocatori hanno letto le favole ai bambini via YouTube e in molti, moltissimi di altri club si sono prestati a lunghe dirette Instagram e al fuoco delle domande incrociate di migliaia di tifosi, curiosi, appassionati, aggirando così il sistema rigido e chiuso degli uffici stampa.
Un confine oltre il quale ancora non è chiaro cosa ci sarà. Docente nel corso Uefa Pro a Coverciano dal 2013, Cola ha collaborato con alcune società (Parma e Cesena fra le altre) e i meccanismi interni a quel gruppo li conosce, li ha studiati, analizzati, valutati. “Nel calcio esistono molti meccanismi identici alla vita quotidiana di noi tutti. Alcuni temi sono comuni: il sentimento di impotenza verso ciò che sembra un problema irrisolvibile, un’idea di futuro compromessa, una sospensione di relazioni parentali. Ma anche la fatica per molti di rapportarsi con un tempo che sembra vuoto perché è privato di socialità. Quindi i possibili effetti sui calciatori sono, proprio come per noi, eventuali disturbi post traumatici dovuti a questo lungo periodo di isolamento e inattività: stress, insonnia, angoscia, depressione, esaurimento emotivo”. Uno studio della Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, ha fatto emergere un quadro preciso. Dai 1.500 atleti interpellati sono emersi tre segnali depressivi: poco appetito, disturbi del sonno, malinconia. Un giocatore su tre ha detto di soffrire d’ansia, il 30 per cento di depressione lieve, il 16 di un livello moderato-alto. “Da questo punto di vista il virus è democratico, genera le stesse conseguenze in chi non ha problemi economici e in chi fatica ad arrivare a fine mese. I calciatori sperimentano una rottura nell’organizzazione del tempo professionale: un tempo solitamente scandito con regolarità che abitua a una routine che diventa una struttura nota e rassicurante”.
Di improvvisa vicinanza tra i mondi, quello del calcio e l’altro, il nostro, quello comune, si era parlato già nei primissimi giorni del lockdown, quando alcuni calciatori del Napoli si erano messi in fila al supermercato, la notte. Come se quel gesto avesse fratturato un’altra normalità. Una rottura che, in certi casi, ha portato addirittura alla fuga. Clamorosi i casi di Higuain, di Cristiano Ronaldo, ma ogni società ha dovuto fare i conti con situazioni tipo. Da cosa scappavano? “Dall’isolamento”, spiega ancora Cola al Foglio Sportivo, “dalla paura che i propri cari potessero essere in pericolo. Tornare dentro a un nucleo famigliare protetto e protettivo aumenta la resilienza. Il privilegio economico che caratterizza gli atleti del calcio non li risparmia dal disagio dell’isolamento e dalla conseguente sensazione di solitudine e abbandono”. Vale soprattutto per chi è abituato a stare al centro dell’attenzione. Tant’è che i club hanno creato gruppi WhatsApp per mantenere contatti più smart, e poi videochat collettive, sedute di allenamento virtuali dal salotto di casa o sul terrazzo, nei cortili. La Juventus ha messo a disposizione dei tesserati uno sportello psicologico parallelo ai corsi di formazione a distanza rivolto ai ragazzi del settore giovanile. Anche in Francia, la Unfp, il sindacato interno, ha diffuso ai giocatori un numero per un consulto: boom di chiamate. Il calcio, insomma, non si era mai sentito così fragile.
“Va tutelata la salute degli atleti, questa è la cosa più importante. Non possiamo immaginare una ripartenza come se nulla fosse accaduto: mi immagino un lungo periodo con partite a porte chiuse e precauzioni ancora alte. Quindi una situazione innaturale per chi è abituato all’atmosfera di uno stadio. Sarebbe quindi opportuno preparare i calciatori non solo sul piano atletico ma anche su quello psicologico e motivazionale attraverso azioni mirate che rendano affrontabile ciò che oggi costituisce una emergenza. L’elaborazione di questa situazione avrà bisogno di tempo e di una dimensione collettiva, guidata: possibilmente già da ora per non trovarsi impreparati al momento della ripresa. Ognuno ha il diritto di vivere nei tempi e nei modi che gli appartengono le proprie emozioni. Che sia un calciatore o un comune cittadino”. Ma c’è uno spazio, una sorta di “zona franca” la definisce Cola, un posto dentro a cui “sentire la regolarità” pulsare: lo spogliatoio. Un habitat, un porto sicuro. In settimana Lega e Federazione hanno dettato alcune linee rigidissime, un protocollo medico che i club dovranno seguire per riprendere l’attività. Un’apparenza di vita normale. “All’interno del team non cambierà nulla. La prudenza richiesta al di fuori lì non ci sarà. Lo spogliatoio è un luogo protetto, protettivo. Una casa. Diverso sarà per le partite: non penso che vedremo giocatori correre con le mascherine. Ma lentamente il meccanismo si rimetterà in moto. Sarà necessario avere pazienza, e forse avremo una selezione che vedrà dai settori giovanili alcuni abbandoni. Come sempre rimarranno le persone motivate, fiduciose e convinte di potercela fare. Nel calcio è sempre stato così”.