il foglio sportivo
Il campo si allarga
Non sono solo videogiochi. Il mondo degli esport, complice la quarantena, cresce e coinvolge anche i giocatori “veri”. Numeri di un fenomeno sempre più ricco
Il mercato italiano esport vale circa 30 milioni di euro. Le proiezioni raccontano che, a livello internazionale, il giro d’affari a fine anno supererà il miliardo di dollari, con una percentuale di crescita del 15,7 per cento (Newzoo). Se allarghiamo il raggio all’industria gaming troviamo un numero che, a livello di fatturato mondiale, duplica quello del cinema e triplica quello della musica. In sostanza, si balla attorno a una supernova da 150 miliardi di dollari. America, Cina e Corea volano, l’Italia sta imparando come si fa. I numeri sono quanto mai determinanti per poter parlare di tendenze, ecco perché da qualche settimana esiste l’OIES (Osservatorio Italiano Esports): la prima piattaforma italiana B2B che pure offre networking, formazione e informazioni sugli esport, aspetti il cui studio diventa necessario per chi intende investire nel videogioco competitivo. L’unione tra sport e gaming, genera un mercato dalle dimensioni potenzialmente mai sperimentate. Prendiamo il Real Madrid, che all’anno fattura 896 milioni di dollari e il team esport statunitense SoloMid il cui billing si attesta sui 35 milioni di dollari, neppure il 4 per cento del primo. Sorprende notare che il multiplo valore/ricavi aziendali del Madrid è di 4,8x, laddove quello di SoloMid risulta essere di 14,1x (Forbes). Siamo di fronte a una nuova frontiera di tech companies, di aziende sportive con la e davanti, attorno alle quali tracciare un perimetro è impossibile. Quanto il videogioco riesce a catturare tempo e attenzione della gente ce ne siamo accorti nel corso della quarantena. Per gente intendiamo non solo persone comuni, ma pure gli stessi atleti professionisti che, dal divano di casa e con un joypad in mano, si sono inventati di tutto pur di alleviare la sofferenza scatenata dal virus.
In Spagna, l’attaccante del Real Madrid Marco Asensio ha lanciato un torneo di Fifa 20, invitando altri diciannove colleghi della Liga (uno per ogni club), a parteciparvi di fronte a un montepremi di 140 mila euro in offerta all’Unicef. La Uefa invece, una volta spostato al 2021 l’Europeo inizialmente in programma a giugno, ha comunque voluto giocare il torneo nella sua versione videogame, in esclusiva su eFootball PES 2020. Calcio e non solo. ATP Masters 1000 e WTA Premier, dopo la sospensione del calendario di tennis, hanno creato il Mutua Madrid Open Virtual Pro con le più grandi star della racchetta al mondo, in gioco direttamente dalle loro abitazioni. Stessa cosa è accaduta in Nba quando, per mantenere intatto il filo con i fan, la lega ha presentato l’Nba 2K Players Tournament subito acquisito da Espn: 16 giocatori Nba, collegati in cuffia, si sono affrontati in un torneo che metteva in palio 100 mila dollari da devolvere a un’organizzazione benefica. I loro dialoghi, senza filtri, erano aperti a tutti gli utenti connessi. Beneficenza o meno, non si smette di giocare. Che è un modo straordinario per restare uniti, divertendosi, creando valore. “Il mondo esports non ha sofferto troppo lo stop – dice al Foglio Sportivo Federico Brambilla, vicepresidente IIDEA (Associazione di categoria dell’industria italiana dei videogiochi che ingloba tra gli altri Sony, Nintendo, Microsoft, Activision, Blizzard ed Electronic Arts) – Casomai ha dato una grossa mano all’industria videoludica italiana. Un’occasione unica poter vedere i grandi atleti alle prese con il proprio simulatore, con una piattaforma diversa che permette agli utenti di osservare ciò che fanno”. Perché quando in un settore dai principi dominanti ci butti dentro le stelle dello sport, i risultati non possono essere banali. “L’industria show business sta cambiando – continua Brambilla – La richiesta maggiore arriva dalle nuove generazioni digitali. Succede già che molti giovani puntino più a diventare videogiocatori che non a praticare sport a livello agonistico. Secondo il mio punto di vista l’esport non sarà mai sport, in quanto non è inclusa alcuna attività fisica. Tuttavia, se intendiamo lo sport come quella realtà capace di riempire stadi, palinsesti e giornali, allora sì che lo diventa”. I media hanno la necessità di andare ad attaccare le nuove generazioni. Ed è un attimo che s’innesca un circolo vizioso. “Parliamo di un target che va dai 13 ai 30 anni – precisa Brambilla – fascia che qualsiasi mass media, calcio compreso, fa fatica a conquistare nella sua totalità. L’esport vuole essere un utile mezzo per comunicare, una realtà in grado di camminare da sola, senza alcuna pretesa di sovrapporsi allo sport reale. Credo piuttosto che quest’ultimo possa presto integrarsi al gaming”.
Il modello della Scuderia Ferrari che corre da tempo sia con un pilota reale, sia con un pro player, è decisamente calzante. Non deve stupire troppo se, sul piano internazionale, si registra già un attaccamento a un determinato team esport, nella stessa misura in cui esiste per una squadra o un atleta di calcio, di Nba o di MotoGP. “In Italia siamo indietro, gli stadi pieni per un evento virtuale li vedremo minimo tra 10 anni – ammette il manager – Per alcuni il videogioco rimane una perdita di tempo, non comprendendo invece le sue attitudini alla formazione, all’unione e allo svago. Siamo un popolo restio: non è tanto dal punto di vista del settore che l’Italia arranca, quanto da quello istituzionale”. In effetti limita non poco l’assenza di una categorizzazione, nondimeno il belpaese rimane assai fertile di novità. Non sono pochi i calciatori, ex o tuttora attivi, ad aver investito in nuovi team esport: sulla scia della ‘M10’ di Özil, De Rossi e Florenzi hanno dato vita a ‘Mkers’, Romagnoli del Milan ha aperto la sua ‘AR13’. Funziona così: fondi un’agenzia, acquisti con regolare contratto i pro player specializzati, vai a competere nei tornei internazionali con l’obiettivo di attirare la curiosità dei grandi sponsor, punti a diventare un riferimento del mercato. Se ci riesci, le revenune schizzano su che è una bellezza. Il futuro è già qui. “Mi piace dire che se negli anni Novanta i calciatori aprivano un ristorante dopo aver appeso le scarpe al chiodo – continua Brambilla – ora invece scelgono di creare un’agenzia esport”.
Per accelerare il processo in Italia, lo scorso 5 febbraio la Lega Serie A ha ufficialmente presentato la eSerie A Tim. Un campionato inedito organizzato in collaborazione con Infront, PG Esports e Sony PlayStation 4, console esclusiva della competizione. “Un progetto che era in pancia già nel 2018 – racconta al Foglio Sportivo Michele Ciccarese, direttore marketing e commerciale Lega Serie A – EA e Konami continuavano a sollecitare la A, laddove Liga, Premier e Ligue 1 avevano già iniziato a fare campionati esports. La nascita del nostro torneo virtuale ha spronato anche i club più piccoli a mettere in piedi una sezione dedicata. E una volta che la competizione è ufficialmente istituita, chiaro che poi tutti vogliono partecipare. Per il momento Brescia e Napoli hanno scelto di restarne fuori, ma per la stagione 2020/21 ci saranno”. Lo stallo era appunto causato da quelle società ancora diffidenti al calcio virtuale. I top club si sarebbero mossi uguale, ma in questo modo è nato un settore aggiuntivo. Sostenuto da un Draft aperto a tutti i videogiocatori interessati (persino agli amatori) che, all’improvviso, si sono fiondati sul treno del possibile professionismo: si sono iscritti in 600, ma solo 30 di loro sono riusciti ad arrivare in fondo, pronti per essere selezionati da quei club di Serie A non ancora dotati di un team ufficiale. Siccome eSerie A è l’unico torneo virtuale in partnership sia con EA (Fifa), sia con Konami (PES), ogni team si è dovuto attrezzare con almeno due videogiocatori. Fa eccezione la Juventus che, d’altra parte, ha firmato un accordo esclusivo con il simulatore di calcio giapponese. “In questo magico mondo, gli attori sono principalmente quattro – spiega Ciccarese – i publisher, i broadcaster, gli eventi live che al momento sono fermi, e i team che a loro volta gestiscono le varie properties. Qui nascono brand del tutto nuovi, come nel caso dell’Udinese che scelto di creare un logo esport da zero, allo scopo di mettere insieme quanti più asset di marketing e commerciali possibili. Inutile dire che il lungo stop causa Covid si è rivelato un boost enorme per chi ha saputo sfruttare il momento. In queste settimane, la eSerie A altro non è stato che un grande cappello sotto il quale si è sviluppato un immenso show, in attesa che parta quello ufficiale”.
Un pool di iniziative studiate per entrare nella mente di chi è ancora troppo distante dall’esport, imperniate sul coinvolgimento di voci e volti noti nel mondo del football originale. Un mix perfetto, creato per dar vita a un prodotto televisivo. È così che arriva ‘TimVision Players Challenge’, torneo non-stop live sul canale ufficiale YouTube di eSerie A Tim e sulla piattaforma TimVision, dove quattro club di A si sono sfidati a Fifa 20 su PS4, attraverso quattro calciatori per rappresentanza di ogni squadra: Pisacane per il Cagliari, Petagna per la Spal, Lirola per la Fiorentina che ha battuto in finale la Sampdoria guidata da Jankto. Il primo di tanti altri, sotto la medesima etichetta. E non è che l’inizio.
A fine marzo via al progetto ‘Everybody Plays Home’ che abbraccia otto squadre (Sampdoria, Spal, Inter, Udinese, Parma, Sassuolo, Bologna e Fiorentina), questa volta guidate dai rispettivi gamer professionisti. Andata e ritorno a partire dagli ottavi, culminato nella vittoria dell’Inter che, giusto per non sbagliare, ha messo sotto contratto il numero uno del ranking mondiale di Fifa. Nel torneo gemello di PES, d’altro canto, ha stravinto la Juventus, condotta al successo dal miglior giocatore in circolazione del prodotto di Konami. Vi ricorda qualcosa? Come nel calcio sul campo d’erba, pure davanti a uno schermo con joypad, cuffie e puro talento con le dita. Altrimenti Inter e Milan, da un giorno all’altro, sabato 11 aprile, non avrebbero deciso di andare in scena con il primo eDerby di Milano della storia. Esposito per i nerazzurri e Leao per i rossoneri si sono misurati su PES, in un evento live sui profili ufficiali dei due club milanesi, oltre che su Dazn con tanto di conduzione di Diletta Leotta e telecronaca di Stefano Borghi. È la luna che d’emblée, in perfetto silenzio, assume le dimensioni della Terra. Hai voglia a pensare al PSG, club pionieristico in Europa con una sezione esport interna che lo porta oggi a competere in finali mondiali da 35 milioni di dollari. Le nuove esigenze delle big italiane vengono a galla. “Nel caso del primo derby virtuale, di esigenze ce n’erano due – racconta al Foglio Sportivo Lamberto Siega, marketing and digital director di AC Milan – La prima riguarda il calo di partecipazione del fan al tempo del coronavirus: niente partite di calcio, niente contenuti particolarmente stimolanti da produrre. La seconda invece verte sulla trasformazione naturale degli obblighi commerciali, in contenuti diversi dal solito. Konami è sponsor sia di Milan, sia di Inter, perciò è stato facile soddisfare l’arricchimento del prodotto e, al contempo, rafforzare la partnership con Dazn. Anche per loro si trattava di un contenuto di alto valore editoriale”.
Non solo dunque il broadcaster, uno dei due in possesso dei diritti tv del calcio italiano reale, ma pure conduttori e telecronisti. La singola partita videoludica che già è puro intrattenimento, avanza verso un prodotto molto più ricco e, per questa ragione, di grande interesse per chi sceglie di trasmetterlo. “Il calcio è entertainment – commenta Siega – così come gli esport che agiscono in un mondo virtuale sorretto da un’attenzione incredibile. Per questo motivo assisteremo a un’evoluzione di quello che è l’aspetto commerciale: in futuro gli esport avranno una loro natura, le squadre di calcio potranno adattarsi al mercato aprendo, ad esempio, anche a simulazioni di corse d’auto e moto. Certo è difficile che il Milan, per storia e valori, possa guardare a giochi basati su guerra e violenza. Detto questo, a comandare sono sempre audience e sponsor”. Sintesi: le prospettive generate dai primi rudimenti di esport in Italia, non chiudono le porte a nulla di ciò che è pensabile quando di mezzo ci sono tanti, tantissimi soldi. Tutto può succedere in un campo da gioco virtuale, sconfinato, vergine. Bramato da decine di milioni di giocatori (pro player, club, produttori, sviluppatori, media, sponsor), ognuno di questi spinto da interessi differenti. Ci si chiede: nascerà davvero un mondo parallelo allo sport, quello fatto di atmosfera, sacrificio, momento, emozione, spettacolo atletico e meraviglia tecnica? Come s’è detto, l’esport non potrà mai mutuare le caratteristiche primordiali dello sport autentico, ma è possibile che, in un tempo non troppo lontano, entreremo in una nuova bolla pure abitata da commentatori, opinionisti, presentatori, procuratori, dirigenti, allenatori e chissà chi altri ancora. “Quando ripartiremo vedremo forse un nuovo mondo fatto di ipotesi, sogni, invenzioni – dice al Foglio Sportivo Stefano Borghi, voce del derby virtuale tra Inter e Milan – Per la prima volta ho raccontato un evento esport che di fatto era un finto live, ciò nonostante quando ho ricevuto il prodotto, senza neppure guardarlo, sono andato dritto con la telecronaca per preservarne il contesto. Certo, dall’ultima volta con un joypad in mano, per me, sono passati quindici anni. Le piattaforme videoludiche restano lontane dal mio mondo, tuttavia mi sono divertito”. Non scontato per uno che dal vivo commenta Real Madrid e Barcellona, trascinato dalle urla di 100mila persone o giù di lì. In generale l’imprevedibilità è fondamentale per tenere viva la partecipazione, anche di fronte a un videogame. “Non so se sia una moda – spiega Borghi – ma la realtà virtuale prende, ha le caratteristiche per evolversi rapidamente. I videogiocatori sono giovani, in qualche modo umanizzati dal momento in cui realizzano il loro protagonismo pure comprovato, in alcuni casi, da stipendi notevoli. Ecco perché bisogna evitare di chiudere all’evoluzione di qualcosa: la differenza che faccio qui è tra sport e intrattenimento che non possiamo mettere sullo stesso piano di una reale competizione sportiva. La mia speranza, del resto, è che il calcio vero rimanga preponderante”. Nel commentare l’evento, si capisce, non cambia molto l’approccio, piuttosto muta il ritorno emozionale per ciò che è diverso nella forma, ma che tuttavia resta simile nella sostanza. Già riconosciuta la presenza di professionisti della comunicazione in eventi esport, immaginare che quelli cresciuti e attualmente impiegati nello sport reale possano talvolta, o addirittura definitivamente, prestarsi al virtuale è tutto fuorché un’utopia. Nell’ultima decade siamo stati spettatori di trasformazioni d’ogni tipo. Abbiamo vissuto al tempo di Google, Facebook, Amazon e Twitch. L’esport esiste da anni. Poggia sui cardini del divertimento, della conoscenza, della comunità, della globalità, del business, della professionalità, di una nuova opportunità, per tutti. Proprio come lo sport vero. Forse destinato a perdere parte di quell’audience e di quelle figure che, tecnologia vuole, sceglieranno di percorrere vie meno esplorate, eppure illuminate come fossero frequentate da sempre.