Eva Carneiro guida la rivolta di chi non vuole riaprire la Premier
La dottoressa, diventata famosa per il suo litigio con Mourinho che le costò il posto al Chelsea, boccia l'idea di ricominciare il campionato: “Non sappiamo ancora abbastanza del Covid-19”
Il ritorno in campo della Premier League è sempre più vicino. Dopo l’ultima riunione, tenutasi lunedì, i club (all’unanimità) hanno approvato il nuovo protocollo e da questa mattina sono consentiti gli allenamenti in piccoli gruppi. La data del nuovo fischio d’inizio non c’è ancora, ma ormai sembra scongiurata l’ipotesi di una chiusura anticipata del torneo.
Non tutti, però, sembrano convinti e, soprattutto tra i calciatori, sono in tanti a rivelare timori e paure. Tra loro, le stelle del Manchester City Sergio Aguero e Raheem Sterling, il capitano del Watford Troy Deeney e l’ala del Newcastle Danny Rose.
E ora, a lanciare l’allarme, c’è anche Eva Carneiro (foto sotto), la dottoressa diventata famosa nella stagione 2015/16 per un veemente litigio con José Mourinho che le costò il posto al Chelsea. Secondo la versione dello Special One, la dottoressa non aveva compreso l’entità di un infortunio accorso al belga Eden Hazard durante una gara con il Watford (era la prima giornata di campionato). Nell’occasione Carneiro, che sedeva in panchina in qualità di capo dello staff medico dei Blues, entrò in campo per prestare delle cure (non necessarie a detta di Mou) al centrocampista, costringendo poi il giocatore a uscire dal terreno di gioco come previsto dal regolamento e lasciando momentaneamente la squadra in nove uomini (era stato già espulso il portiere Courtois).
Tre giorni dopo l’episodio, la dottoressa fu demansionata e allontanata dalla prima squadra. Ne seguì una lunga querelle giudiziaria che terminò, dopo diversi tentativi di accordo tra le parti, con un risarcimento versato dal Chelsea alla Carneiro di 1.5 milioni di sterline.
Oggi la dottoressa dirige il “The Sports Medical Group”, un importante centro di medicina sportiva a Londra. Lavora ancora con diversi calciatori e si schiera con chi di loro non vorrebbe tornare in campo.
“Questo è il momento di essere umili e di accettare il fatto che non siamo abbastanza a conoscenza delle potenzialità mortali del Covid-19 – spiega la Carneiro – coloro che sono coinvolti nella produzione delle linee guida meritano un enorme credito e il nostro ringraziamento per l’immenso sforzo che stanno mettendo nel loro lavoro. Tuttavia le conoscenze scientifiche sull’argomento si aggiornano quotidianamente, al momento nessun test medico è perfetto”. La specialista punta poi l’attenzione sugli atleti professionisti per i quali, a suo parere, occorre avere delle cautele particolari. “Non possiamo paragonare la popolazione generale con chi pratica sport a livello agonistico – dice con preoccupazione – sappiamo che il Covid-19 sembra esibire una patologia che colpisce diversi organi, ma ad esempio non conosciamo come possa attaccare il fisico di coloro che si allenano portando altissima la frequenza cardiaca. Ciò che la medicina ha già stabilito è che dopo uno sforzo fisico importante si registra un’alterazione del livello degli immunosoppressori, ciò che non è ancora evidente è quanto questo possa aggravare il quadro clinico di un atleta che venga infettato dal virus”.
Il discorso si sposta poi sulla difficoltà di adeguare gli allenamenti alla nuova situazione. “Ora dobbiamo comprendere e sviluppare delle strategie di sicurezza per prevenire gli infortuni che potrebbero verificarsi a seguito di carichi di lavoro modificati dai nuovi protocolli”.
“Il calcio – prosegue l’ex-Chelsea – opera in un ambiente ad alta pressione e ad alte prestazioni, con una cultura sportiva e una mentalità che privilegiano le prestazioni a breve termine. È quindi fondamentale che, al momento della ripresa, siano in vigore regolamenti, sistemi, politiche e procedure solidi”.
La dottoressa Carneiro, che iniziò l’attività nel mondo del calcio giovanissima (la sua carriera partì nel West Ham United), non fa mistero delle sue perplessità sulla ripresa della Premier League. “Dalla mia esperienza nel football ho capito che il calcio non ha una cultura che abbraccia e rispetta la governance medica che, ora più che mai, è richiesta per garantire la sicurezza. Il problema non è solo nell’immediato, ma anche e soprattutto nel lungo periodo, quando l’abitudine renderà difficile l’applicazione dei protocolli”.
La quarantaseienne, nativa di Gibilterra, punta poi il dito sulla volontà del governo di scaricare la responsabilità di eventuali nuovi contagi sui club. “Questa decisione – sottolinea – esercita un’enorme pressione sui dirigenti e sui medici. Tutte persone che stanno cercando di fare al meglio il loro lavoro, che è quello di preparare i giocatori a tornare all’azione competitiva”.
“È prematuro discutere di un pieno ritorno al gioco e stabilire una data – conclude la dottoressa – fin quando non avremo valutato questa prima fase di riapertura dal punto di vista medico”.