il foglio sportivo

Così nasce una leggenda

I gol di Roger Milla al Mondiale e la sua esultanza con la “makossa” lo trasformano in uno dei simboli di Italia ’90. Il Camerun scrive la storia del calcio africano

Enrico Brizzi

L’arte di stare al mondo

(qui trovate la terza puntata del racconto di Enrico Brizzi) - Conquistata la prima vittoria mondiale della propria storia, per di più contro i campioni in carica, i ragazzi in maglia verde iniziano a credere che tutto sia possibile.

 

All’indomani dell’exploit contro l’Argentina, nell’altro match del primo turno la Romania ha regolato l’URSS con un secco 2-0 maturato grazie alla doppietta – prima di destro su azione, poi dal dischetto – di Marius Lacatus, elemento portante dello Steaua prossimo a trasferirsi alla Fiorentina di Cecchi Gori.

 

E proprio la Romania è la prossima avversaria dei “Leoni”.

 

Si gioca a Bari sul terreno del nuovo San Nicola, lo stadio firmato da Renzo Piano che sembra uscito da una tavola dell’Eternauta; inaugurato da appena una settimana con una sontuosa amichevole fra i Galletti locali e il Milan campione d’Europa, può ospitare poco meno di 60.000 spettatori, decisamente troppi per la piazza pugliese, e i malevoli insinuano che sia stato edificato in proporzioni sì faroniche a maggior gloria del numero 1 della FIGC Tonino Matarrese.

 

La Romania è entrata nell’immaginario calcistico quattro anni prima grazie all’impresa dello Steaua, che ha sollevato nel 1986 la Coppa dei Campioni dopo una clamorosa sequenza di tiri dal dischetto che hanno visto protagonista assoluto il baffuto portiere Ducadam, in grado di neutralizzare quattro rigori uno dietro l’altro, ma sconta ancora la fama sinistra d’un paese appena uscito da una dittatura feroce; tutti gli appassionati ricordano che lo stesso Ducadam, un uomo che altrove sarebbe diventato un eroe nazionale, dopo quell’impresa si è visto spezzare le mani dagli sgherri di Ceusaescu junior, colpevole unicamente di non aver voluto cedere al figlio del dittatore la Mercedes ottenuta in premio.

Ora che il paese ha voltato le spalle a quell’epoca buia e i suoi campioni hanno tutti la valigia in mano, fra i pali c’è il suo erede Silviu Lung, pronto al trasferimento in Spagna nella provincia vinicola della Rioja, dove giocherà per i biancorossi del Logroñes; nel primo tempo può limitarsi all’ordinaria amministrazione, mentre è costretto al superlavoro “il Gatto nero”, il soprannome non troppo originale con cui viene ribattezzato Thomas N’Kono, protagonista di due parate spettacolari, con le quali neutralizza una punizione-bordata di Hagi e un’insidiosa sciabolata in corsa di Rotariu.

 

Al di là di questi episodi prevale il deprimente spettacolo della prudenza, tanto da parte dei “Leoni” quanto degli avversari, insaccati nella loro anonima casacca gialla con dettagli rosso-blu, orfana d’emblemi come la bandiera rivoluzionaria, deprivata a colpi di forbici del blasone socialista nei giorni delle barricate.

 

Il sospetto che un pareggio accontenti entrambe le squadre svanisce al quarto d’ora della ripresa, quando Nepomnjascy butta nella mischia il sempiterno Roger Milla. Il suo show basta da solo a giustificare il prezzo del biglietto pagato dai 38.000 del San Nicola: Milla punta la porta, mostra sprazzi di classe non scontati e, quando manca un quarto d’ora al termine, rompe l’inerzia del match con un’azione di forza: duello al limite del regolamento con Andone, ingresso in area e piatto sinistro a filo del secondo palo.

 

Se il gol è figlio d’una mischia da calcio britannico delle serie inferiori, l’esultanza di Milla entra direttamente nell’immaginario collettivo: corsa verso la bandierina del corner, mano destra sollevata, e sensuale movimento pelvico in stile makossa come fosse sulla pista d’un locale di Yaoundé ad ascoltare Les Tetes Brulées, i nuovi portabandiera del genere musicale che in tempi di world music viene più frequentemente associato al Camerun. Lo spettacolo avviene a un passo da un opportunissimo tabellone della Coca-Cola, bibita ufficiale del torneo e brand globale più d’ogni altro, un dettaglio che contribuirà non poco alla consacrazione mediatica della sequenza.

 

Ancora dieci minuti, e Roger si ripete: aggancia una palla che scavalca Popescu al vertice destro dell’area, se l’aggiusta al volo ed esplode una fucilata di destro sul primo palo che folgora Lung.

 

Ha la fama, i titoli, la presenza scenica e ora anche una doppietta all’attivo: comunque vada, le aperture dei servizi video serali e i titoli dei giornali di domani saranno tutti per lui. Il 2-1 firmato da Balint al tramonto del match non cambia le cose: Italia ’90 ha trovato la sua icona.

 

Con due vittorie su altrettanti match, il Camerun può guardare con placido distacco all’ultimo impegno in programma nel girone: ormai la qualificazione è certa, l’effetto-simpatia assicurato, e si possono spendere i crediti maturati per dimostrare che ormai i simpatici sempliciotti del 1982 hanno imparato a stare al mondo.

 

L’Unione Sovietica, presa a sberle tanto dalla Romania quanto dall’Argentina, vede le ultime, pallide, speranze di qualificazione legate alla concomitanza di due eventi: una vittoria per goleada contro il Camerun e un esito diverso dal pareggio nello scontro fra le due squadre che l’hanno battuta.

 

Per quel che può, il Camerun si mette d’impegno nel favorire la tramontante Nazionale del proprio mister: la sera del 18 giugno, sul campo del San Nicola rischiarato per la prima volta dalle fotoelettriche, undici irriconoscibili “Leoni” in maglia gialla si guardano bene dal segnare e concedono uno, due, tre, quattro gol all’URSS.

 

La cortesia si risolve in un omaggio simbolico, ché in contemporanea, a Napoli, Argentina e Romania si limitano a farsi il solletico firmando un 1-1 che vale la qualificazione per entrambe.

 

L’indomani, a San Siro, si chiude anche il girone stanziato fra Milano e Bologna: una battaglia senza esclusione di colpi fra Germania Ovest e Colombia vede i cafeteros di Higuita e Valderrama strappare un preziosissimo pareggio in pieno recupero: saranno loro gli avversari del Camerun nell’ottavo di finale più pazzo del tabellone.

 

L’apoteosi di Roger Milla

Ci sono momenti speciali, nella vita di un uomo, in cui si comprende in un batter di ciglia che si sta realizzando un’impresa memorabile; se si ha la ventura di essere il calciatore più popolare di un intero continente, e il teatro dell’impresa è un campo ripreso in mondovisione, è facile presagire che il proprio trionfo sarà ricordato per parecchie generazioni.

 

In maniera speculare, anche all’uomo più sfrontato capita di sentirsi mancare le gambe e arrossire come una fanciulla, ché il fluire del tempo si sta cristallizzando in un istante sventuratissimo; allora tutti i meriti maturati in passato rischiano di sfarinare nell’oblio a fronte della catastrofe che un singolo gesto sventato sta propiziando. In un attimo solo la bocca si fa amara, precipita l’autostima, si sperimenta la delusione dei compagni e la barbarica consapevolezza d’essere esposti al pubblico ludibrio, additati come capro espiatorio per tutti i mali della comunità. Lo sanno bene i portieri, abituati in solitudine alla vigilanza come all’estro, quanto può pesare una singola papera, un ottenebrarsi momentaneo dell’attenzione, una follia improvvisa.

 

Mai come nel secondo tempo supplementare di Camerun-Colombia i due eventi, il miracolo e la catastrofe, si sono concretizzati in purezza sul palcoscenico di Italia ’90, il torneo più seguito della storia del calcio, il primo a vantare oltre 40.000 giornalisti accreditati provenienti da ogni angolo del pianeta.

 

L’azione si svolge sul terreno del San Paolo quando manca poco alle sette della sera, sotto gli occhi di 50.026 testimoni diretti e viene trasmesso in diretta su buona parte dell’orbe terracqueo: il match fra i “Leoni” e i Cafeteros è il primo ottavo di finale in programma, entrambe le squadre sono novità assolute nel tabellone finale del torneo, e gli intenditori sono all’erta in vista di un guizzo che risolva l’impasse maturata nei tempi regolamentari.

 

Quel che accade a Napoli, tuttavia, supera anche la fantasia più sfrenata: dopo novanta minuti conclusi senza gol a dispetto d’un ultimo quarto d’ora incendiario, Lanese fischia la fine dei tempi regolamentari e scorta le due squadre ai supplementari.

 

Nella prima frazione dell’extra time, le emozioni si fanno incontenibili: il sudamericano Iguaràn va al tiro inducendo il telecronista colombiano a intonare un trionfante “Gòòò…”, ma N’Kono fa buona guardia e il grido si spegne in bocca al giornalista. Sul finale, è invece il Camerun a costringere il “Loco” Higuita a salvare la baracca con un tuffo basso.

 

Il Camerun batte il calcio d’inizio degli ultimi quindici minuti, e subito sale in cattedra con la sicurezza del predestinato il buon Roger Milla: è lui a raccogliere il rinvio lungo dei difensori, a portare il cuoio nel cuore della metà campo avversaria e triangolare con Omam-Biyik, sempre lui a accelerare il gioco sulla tre quarti sinistra con una percussione che gli consente d’insinuarsi fra i difensori centrali; come vede la porta, scocca un sinistro tanto preciso quanto potente che s’infila sotto la traversa. Higuita, uccellato fra i pali da quella perentoria stangata, schiuma di rabbia; Roger si concede un altro giro di makossa di fronte alla bandierina del corner.

 

Il pubblico napoletano applaude, ma non ha ancora visto niente.

 

È alla ripresa del gioco, infatti, che i destini di Roger Milla e René Higuita si saldano in maniera indissolubile: la costanza e la determinazione del primo si riflettono ribaltate nella eccentrica volontà di rivalsa del secondo, che per spronare i suoi verso il pareggio si avventura fuori area, raccoglie un retropassaggio e incita i compagni a smarcarsi. “Qué libero!” approva il telecronista colombiano, ma anche questa volta deve ricredersi: Higuita non vede nessuno meritevole di un traversone, così scambia corto con Perea lasciandogli l’onere d’impostare…

 

Con ogni probabilità Roger Milla non ha mai visto Amici miei, ma quel che s’inventa appena legge l’ombra dell’incertezza nella retroguardia avversaria ben si presta a illustrare una celebre definizione fornita dalla voce fuori campo della pellicola: “Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”. Parte a scheggia, il buon Roger, mangia metri del campo puntando dritto verso il pallone, irrefrenabile come i treni della linea Douala-Yaoundé che garantivano il pane al ferroviere suo padre, alla mamma scomparsa da poco, ai dieci fratelli e a lui stesso; Perea, spaventato da quella furia che si vede arrivare addosso, commette l’errore marchiano di restituire palla in orizzontale a Higuita, al che Roger corregge la traiettoria senza rallentare, e quando il “Loco” tenta di umiliarlo in dribbling, aggancia il pallone e s’invola trionfante verso la porta vuota.

 

La rete è abbastanza lontana da lasciare il tempo a entrambi di realizzare cosa sta accadendo: per Roger Milla, 38 anni dichiarati e forse qualcuno in più nella realtà, è il trionfo, la consacrazione, la gloria eterna; per Higuita la caporetto dell’orgoglio, la certezza di essere ricordato per sempre come il protagonista dell’uscita più disastrosa della storia del calcio, l’uomo che ha spento il sogno della Colombia e spianato la strada al Camerun verso i quarti di finale. A nulla serve, infatti, il tardivo colpo con cui Redìn accorcia le distanze: ormai è finita, i Leoni vanno avanti e la Colombia torna a casa.

 

Per sua fortuna, Higuita è un uomo abituato alle responsabilità estreme: cresciuto per strada, amico di Pablo Escobàr, dopo l’uccisione del “Patròn” si troverà senza più santi in paradiso e sperimenterà la poco invidiabile ebbrezza della galera con l’accusa di aver tratto profitto dal rapimento della figlia di un amico, ma nessuna ribalderia spegnerà la sua indole estrosa. Saprà riconquistare i guanti della Nazionale, stupire il mondo con la fantasmagorica “parata dello scorpione” e, molti anni dopo il ritiro, riuscirà persino a dar prova di sublime autoironia: nei giorni dell’isolamento causa pandemia posterà sui social il fotogramma della sua catastrofica sortita napoletana accompagnata dalla didascalia “se ti dicono di non uscire, non uscire”.
Quanto a Roger Milla, attratto per l’ennesima volta dalla bandierina del corner per il rituale della makossa, con quella rete assurge al carisma di un Léopold Senghor o d’un Nelson Mandela, uomini ai quali va stretta la definizione di eroi nazionali: si fa simbolo, gigante senza tempo, viva fonte d’ispirazione per tutti i ragazzi d’Africa.

 

La sera del primo giorno di luglio, al San Paolo si affollano in 55.000 per rivedere il Camerun, questa volta alle prese con l’Inghilterra; il pubblico napoletano, abituato a simpatizzare per chi parte sfavorito, non ha dubbi su chi sostenere fra gli alteri inventori del gioco e la prima Nazionale africana che è riuscita a farsi strada fra le migliori otto del torneo. Già si sogna per i “Leoni indomabili” una semifinale contro la detestata Germania Ovest, ma le speranze sono destinate a restare deluse.

A metà del primo tempo, passano gli inglesi con un cross preciso di Stuart Pearce, in arte “Psycho”, scodellato all’indirizzo di David Platt; il prolifico centrocampista dell’Aston Villa schierato al posto dell’ammaccato capitano Bryan Robson, si fa trovare all’appuntamento e la schiaccia di testa in rete. Il telecronista britannico non ha dubbi: “It’s one of the most entertaining matches of the World cup”. C’è da capirlo: è dal 1966 che l’Inghilterra non arriva in semifinale.

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