Marcus Rashford, attaccante del Manchester United (foto LaPresse)

L'importanza di essere nato nero e povero per far cambiare idea a BoJo

Maurizio Crippa

Black meals matter. La lettera vincente di Rashford al Times

Quando il 25 febbraio 2016 Louis Van Gaal decise di mandarlo sul prato dell’Old Trafford in una partita di Europa League, Marcus Rashford non aveva ancora diciannove anni, era al suo debutto in prima squadra, segnò una doppietta, scavalcò il “quinto Beatles” George Best nella classifica del più giovane giocatore dello United a realizzare una rete in una coppa e si spalancò da solo, senza dover bussare, la porta per entrare nel football che conta, nel cuore dei tifosi e anche tra le celebrity da social media. Veloce come un fulmine, imprendibile sulla fascia, il ragazzo povero di Manchester, figlio di genitori immigrati dalle Antille britanniche è stato veloce anche a debuttare, due giorni fa, in prima pagina del Times, e s’è schermito dell’invadenza nelle prime righe: “Se qualcuno dieci anni fa mi avesse detto avrei scritto per il Times, mi sarei messo a ridere”. Ma adesso la questione, spiega, è seria. Una lettera aperta al governo e al Parlamento per chiedere di non interrompere, durante le vacanze estive, il programma di distribuzione di pasti gratuiti ai bambini che frequentano le scuole pubbliche e che sono figli di famiglie particolarmente povere. Secondo i dati sarebbero circa un milione e 300 mila, il 15 per cento degli alunni, e spesso il programma alimentare del governo è il loro unico pasto completo. Rashford oltre al talento sportivo ha l’aria del bravo ragazzo, è cresciuto in una famiglia come quelle assistite dalla scuola. Lo racconta: “So come ci si sente ad avere fame. Mi ricordo bene quando i miei amici mi invitavano a mangiare a casa loro, perché i loro genitori fossero sicuri che quella sera avrei mangiato… Se oggi sono Marcus Rashford, un calciatore 22enne nero abbastanza fortunato, lo devo alla gentilezza e alla generosità della comunità che avevo intorno a me”. La sua campagna è risultata particolarmente empatica ed efficace. Boris Johnson, che in precedenza aveva respinto la proposta avanzata dai laburisti, ha cambiato idea. Secondo il leader del Labour Keir Starmer “inversione a U di inclusione rispetto ai provvedimenti precedenti”.

 

Del resto povertà – anzi fame dura – e sport sono spesso storie parallele. E i calciatori lo hanno spesso raccontato (l’africano più forte di sempre, Eto’o, arrivato a Barcellona con un sacchetto di plastica come unico bagaglio, è celebre per il suo aforisma, “corro come un nero per poter vivere come un bianco”) e si sono trasformati in testimonial della giusta causa. Lukaku, cittadino belga nato ad Anversa, ha raccontato la fatica di sua madre per procurare il latte ai suoi bambini, Frank Rybery, che di origini africane non è, di aver fatto il muratore da ragazzino per mettere insieme pranzo e cena e la possibilità di andare agli allenamenti, Ibraimovic faceva il ladro di biciclette a Malmoe. Persino CR7 da bambino era in sospetto di malnutrizione e osservato speciale dei dietologi. La lettera di Rashford calca un po’ la retorica, ma è un calciatore di ventidue anni e ci sono politici che fanno di peggio. Ma il risultato è che il free food voucher scheme verrà almeno in parte mantenuto, e vale 15 sterline a famiglia alla settimana – l’assistenza pubblica non è un pranzo di gala – per un totale di 120 milioni.

 

Una bella storia, che però mostra anche qualcosa che va più a fondo – o che per meglio dire brilla sulla superficie sdrucciolevole del dibattito pubblico di oggi. In quella zona mista, quel centrocampo combattuto, per cui la storia si abbatte o si riscrive oppure si edifica, molto più che per la logica delle idee, sull’onda del sentimento popolare o delle campagne social in cui le figure pubbliche contano sempre più. E la politica, come l’intendenza napoleonica, segue d’appresso. Il gesto del ginocchio a terra fu introdotto da Colin Kaepernick, il quarterback afroamericano dei San Francisco 49ers, e dopo anni di polemiche furibonde qualche giorno fa è stato “legalizzato” dalla Fnl. Star come LeBron James o Michael Jordan hanno inciso di più nell’opinione pubblica nera che non le dichiarazioni di Joe Biden. Il ragazzo di Manchester cresciuto nella fame e nella gentilezza della sua comunità ora dice: “Non è possibile che, nel 2020, i bambini vadano a letto affamati. Dobbiamo proteggere le persone più vulnerabili”. Black meals matter.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"