Chiedi cos'è stato l'Azteca. Memorie di Italia-Germania 4-3
Quattro libri celebrano il cinquantesimo anniversario della partita delle partite
Per celebrare oggi, 17 giugno 2020, il cinquantesimo anniversario della “partita del secolo”, quell’Italia-Germania 4-3, semifinale della Coppa del Mondo di calcio, a cui sono legate le memorie non solo calcistiche di una generazione, nelle scorse settimane sono stati pubblicati ben quattro libri. Quattro come i gol azzurri di quei memorabili 120’ di calcio, i 90’ regolamentari più la rutilante mezz’ora dei supplementari, una giostra di emozioni e di gol.
Se a mezzo secolo di distanza si sente ancora la necessità di puntare i riflettori sul quella partita di calcio, inevitabilmente significa che il campo su cui si è disputato quel match è molto più grande del rettangolo di gioco. È il campo della vita e delle storie che le contiene, è il campo dove quelle storie s’incrociano e, per destino, si combinano a rappresentare un racconto corale che appartiene alle singole esistenze ma anche, più simbolicamente, a quelle collettive e condivise.
Il 1970 è un crinale storico. Segna la fine del dopoguerra e apre definitivamente le porte verso una nuova epoca. La sorte, sotto forma di gioco, ha fatto incrociare su un campo di calcio, e lontano dall’Europa, Italia e Germania, due nazioni che nel corso del Novecento si sono più volte incontrate su sentieri di guerra. L’ultima era terminata da 25 anni e allo stadio Azteca di Città del Messico a contendersi la vittoria, in maniera per fortuna non cruenta, erano le generazioni di italiani e di tedeschi che erano nate nel segno di quel conflitto.
Ad affrontare l’argomento in esplicita chiave di sociologia culturale è il libro di Nando Dalla Chiesa, riedizione di un titolo uscito vent’anni fa, in occasione del trentennale: La partita del secolo. Italia-Germania 4-3. Storia di una generazione che andò all’attacco e vinse (Solferino, pp. 208, 11,50 euro). Le premesse sono dichiarate fin dall’introduzione: «L’Italia del ’70 [era un] Paese fatto, con fatica e dedizione, dalla generazione degli ottantenni contro cui cinquant’anni dopo si sarebbe accanito vigliaccamente il coronavirus di questo 2020. Quegli ottantenni […] che con la loro fatica e i loro risparmi stavano costruendo un’Italia orgogliosa e nuova, capace di trionfare nello sport più amato contro la nazione più forte. Proprio con quei nomi da albero degli zoccoli: Tarcisio e Giacinto, Angelo e Giovanni». Dalla Chiesa, classe 1949, è di pochi anni più giovane della generazione degli Albertosi e dei Burgnich, dei Rivera e dei Riva, e all’analisi degli eventi e del contesto storico – si prende le mosse da due anni prima, il 1968, dalla Primavera di Praga alla sanguinosa manifestazione studentesca di piazza delle Tre Culture a Città del Messico, dalla Milano della Statale occupata alla Roma della “battaglia di Valle Giulia”, fino alla contestazione del movimento studentesco a Pasolini a Ca’ Foscari, a Venezia – affianca il suo ricordo biografico. Dalla Chiesa, studente e residente presso il pensionato dell’Università Bocconi di Milano, vide quella partita, nella notte tra il 17 e il 18 giugno, nelle stanze del quinto piano maschile, corridoio azzurro (a cui peraltro è dedicato l’intero libro).
Riferimenti e intrecci biografici sono inevitabili anche negli altri libri. In La partita del secolo. Storia, mito e protagonisti di Italia-Germania 4-3 (Piemme Edizioni, pp. 144, euro 16,50), Riccardo Cucchi, storico radiocronista RAI, per anni voce principale di Tutto il calcio minuto per minuto, racconta la sua partita dal punto di vista di un diciottenne – Cucchi è del 1952 – sul confine dell’età adulta: Mexico ’70 è dunque l’immagine del primo album di figurine Panini dedicato a una Coppa del Mondo – che all’epoca, e per l’ultima volta, si chiamava ancora Coppa Rimet, dal nome del fondatore della competizione – , con in bella vista in copertina il tricolore messicano con lo stemma dell’aquila che afferra il serpente; e anche il pallone a rombi bianchi e neri, il Telstar, che fa il suo esordio proprio in quella competizione – la prima a essere ripresa e trasmessa integralmente dalla TV – , mettendo per sempre in soffitta le sfere color cuoio. Ma soprattutto è l’immagine di un padre che fuma ininterrottamente e nervosamente in quella notte di inizio estate davanti al televisore in bianco e nero e che si versa nel bicchiere il whisky che per il figlio, ancora minorenne, «era un miraggio da rinviare a ere future».
Come ricorda Dalla Chiesa, quella di Italia-Germania 4-3 fu “la notte delle prime volte”. La prima volta in cui l’Italia giocò in televisione a mezzanotte «nell’ora in cui i sogni si liberano e le convenzioni si allentano». Fu anche la prima volta che una vittoria sportiva scatenò, ormai nel cuore della notte – erano ormai le 2 passate - , una festa spontanea che occupò pacificamente, e trasversalmente – in un’epoca in cui manifestare cominciava ad avere un significato eminentemente oppositivo - , le strade e le piazze d’Italia. Fu la prima volta in cui anche le donne, ancora timidamente, parteciparono a un rito collettivo tipicamente maschile. E infine, fu la prima volta che, dopo anni, tornarono a sventolare i tricolori, il più delle volte rimediati in casa con operazione di improvvisato bricolage cromatico.
La notte del 17 giugno 1970 il bambino Maurizio Crosetti ha otto anni e la febbre a 38° e mezzo. Si ricorda con molta precisione del rumore che fa la siringa nel bollitore e quello del seghetto che rompe la fiala di penicillina che l’infermiera Mariuccia è pronta a iniettargli nella natica dopo apposita strofinata di cotone imbevuto nell’alcol. Si ricorda molto meno della partita, intravista nel tinello di casa accucciato sul divano, mentre nel televisore, provvisto di trasformatore e antenne a baffo, «I giocatori nuotano nella gelatina, pallidi e lontanissimi». Confessa di avere «una memoria diretta ma vaga di quella catena di gol che assomigliano così tanto alle nostre partitelle al campetto, dietro la centrale elettrica, oppure nel triangolo d’erba spelacchiata vicino alla mutua dove usiamo una porta sola, cioè due alberi, il campo è in salita e si arriva ai dodici, oppure ai dieci: la sfida finisce quando una delle due squadre raggiunge il punteggio stabilito». Di tutti i libri su Italia-Germania, il 4-3 (HarperColllins, pp. 238, euro 12,90) di Maurizio Crosetti è quello che di più assomiglia a un memoir. Le immagini della partita e i ritratti dei suoi protagonisti si alternano alla storia privata di un ragazzino che vive a Settimo Torinese, hinterland della grande città-fabbrica, e poi cresce e diventa giornalista, inviato di La Repubblica. Il risultato è un ben congegnato e letterario montaggio di “interni” ed “esterni”, di piani sfalsati di cronache calcistiche e memorie familiari, dove le vite e i gesti di Sepp Maier e di Gianni Rivera si combinano con quelli intimi, privati, dall’esultanza dello zio Ezio al delicato spolverare di un modellino del Mayflower, a un colore di capelli che sa di biondo profumato. Perché «sono cinquant’anni che quella partita non finisce mai, eppure tutto intorno a lei si è sgretolato».
Ci sarà dunque un motivo per cui il 4-3 di Crosetti è dedicato al padre ed è forse lo stesso per il quale Alberto Facchinetti e Roberto Brambilla hanno scritto il loro Quattro a tre pubblicato dalla piccola e valorosa Edizioni InContropiede (pp. 134, 14,50 euro). Per loro, nati negli anni Ottanta (Facchinetti 1982, Brambilla 1984), “el Partido del siglo” non può essere stato biografia, ma solo curiosa e appassionata ricostruzione pensata e realizzata in omaggio alla generazione dei loro padri. Il modello – in parte sotteso anche agli altri titoli, e probabilmente inarrivabile – è quello de La partita, l’opera-mondo che Piero Trellini ha dedicato, dopo anni di ricerche e incastri, a un altro match epocale, l’Italia-Brasile 3-2 del Mundial 1982: ovvero tentare di raccontare la storia corale di una partita attraverso il mosaico delle molteplici biografie che la compongono. I piani narrativi si moltiplicano, tra il presente cronachistico e l’andirivieni di flashback e di flashforward, e aprono a spunti per i quali, come abbiamo detto fin da subito, il rettangolo di gioco sta stretto.
Poi, di fatto, a furia di raccontarla e farsela raccontare quell’Italia-Germania 4-3 tutti la conoscono “a memoria”. Ma non importa. Come nei ben noti meccanismi della letteratura popolare, o meglio ancora dell’epica, non importa molto dello sviluppo, prevedibile o imprevedibile, dei fatti: quando la loro quasi “sacra rappresentazione”. Per cui, vale sempre il modo di dire, benché adattato: «Play it again, Azteca!».