(foto LaPresse)

Pierino Prati segnava in tutti i modi

Gino Cervi

E' morto l'attaccante del secondo Milan di Rocco. I gol di Pierino la peste e quella incredibile primavera del 1969

A gennaio Anastasi. Tre giorni fa Corso. Ieri Prati. Come santi che cadono dal calendario, cadono dall’album delle figurine i nostri eroi di gioventù, quelli di cui appendevamo il poster sopra il letto, quelli che imitavamo nelle interminabili partite all’oratorio, quelli che, con quei loro diminutivi – Petruzzo, Mariolino, Pierino – ci sembrava avessero la stessa faccia degli amici che ci aspettavano in cortile per giocare.

  

Piero Prati era nato 13 dicembre del 1946, a Cinisello Balsamo, grande hinterland milanese. Non aveva vent’anni quando esordì con la maglia del Milan, nel settembre del 1966. Era cresciuto nel vivaio, svezzato dal Barone Liedholm. Dopo un paio di anni di prestiti – Salernitana, Savona – torna a Milanello e nella stagione 1967-68 viene lanciato nella mischia da Nereo Rocco.

   

Il secondo Milan di Rocco era una mirabile composizione di capitani di lungo corso – Cudicini, Hamrin, Schnellinger, Sormani, Malatrasi, Fogli – e di giovani scalpitanti: tra questi, appunto, Pierino detto La Peste, o anche Dinamite. Il Paròn lo nominò titolare a campionato iniziato: alla nona giornata, al Romeo Menti di Vicenza, finisce 2-2 ed entrambi i gol li mise a segno Prati. Da quel momento non smetterà più: 15 reti in 23 partite di campionato, 3 in 7 partite di Coppa Italia e 4 nelle 8 di Coppa delle Coppe, scudetto e, appunto, Coppa delle Coppe in bacheca.

  

Pierino segnava in tutti i modi: dentro l’area, di testa o di rimpallo scaraventando in rete palle vaganti; da fuori, con secche staffilate. Giocava con la maglia numero 11 – che il mio amico Gianni indossava a 5 anni col numero cucito dietro dalla sua mamma – ma era destro di piede, che non era raffinatissimo ma che spesso non lasciava scampo. In quel Milan le delizie tecniche non spettavano a lui: a quelle ci pensano Sormani, con la sua intelligenza tattica da “falso nueve”, e, ovviamente, il Golden Boy, che “vedeva” il Pierino anche quando per tutti gli altri non esisteva proprio. E lo pescava con passaggi e lanci smarcanti che sembravano raggi laser.

  

La “primavera di Prati” arriva nel 1969 ed è un prato che fiorisce in Europa. Non è ancora primavera, a dire il vero, il 12 marzo quando nella brughiera del Celtic Park, Prati mette al sicuro il passaggio in semifinale siglando il gol dell’1-0 – dopo un preoccupante 0-0 casalingo – contro i campioni uscenti scozzesi. Lo fa dopo 12 minuti – Rocco, seduto in panchina, per l’esultanza balza in piedi e picchia la testa contro la copertura di cemento: sono poderosi sacramenti – e al resto ci pensa “Ragno Nero” Cudicini, che in porta para di tutto. Quel giorno il mio amico Michele, undici anni, stacca la figurina di Prati dall’album e la appoggia sul comodino, a fianco a quella di Rivera: ci rimarrà per molti anni.

  

Il 23 aprile c’è uno scontro di diavoli: a San Siro, a giocarsi la semifinale, arrivano i Red Devils di Manchester. Come da programma, la partita è un inferno. Gli inglesi menano come fabbri, Rivera esce azzoppato da Denis Law, e lo sostituisce Romano Fogli, mentre lo stadio ammutolisce atterrito per la perdita dell’eroe. La squadra si compatta e reagisce moltiplicando le energie: il giovane Prati è uno dei trascinatori, coraggio e potenza da vendere. Il gol di Sormani fa esplodere San Siro e, nella ripresa, una giocata proprio di Fogli dà l’avvio al raddoppio. Pallonetto sulla testa del terrificante Nobby Stiles, palla radente in mezzo all’area, Prati che si avventa sulla sfera ma, mandando in bambola i difensori, fa velo per l’accorrente Hamrin che al volo batte a rete: 2-0. Il ritorno all’Old Trafford è ancora battaglia e ancora una volta Cudicini ferma tutto – anche un bullone dalla tribuna – o quasi: il gol di Bobby Charlton non basta.

  

L’apoteosi è al Bernabeu, dove il Milan è atteso dallo scalpitante Ajax del giovane Cruijff. Ma il “calcio totale” c’è tempo. Quella sera va in scena la premiata orchestra rossonera: Rivera è il direttore e Pierino Prati il primo violino. Dopo 35 secondi, al primo assalto, Pierino prende un palo. All’8’ Sormani va via danzando sulla sinistra, entra in area, crossa forte e arretrato e Prati, di testa, addirittura da oltre il dischetto del rigore, insacca sul palo più lontano. Prima della fine del primo tempo: il gol-capolavoro. Sulla tre-quarti Rivera è circondato dai lancieri: li attira a sé come mosche al miele, poi con un colpo di tacco da Giano bifronte, smarca Prati che nel frattempo, girandogli intorno si è presentato alla lunetta dell’area, liberissimo. Sembra quasi prendere la mira, come un franco tiratore, Pierino: dal destro scaglia una saetta che s’insacca battendo secca sul supporto interno della rete e quindi sul palo interno, in una carambola che è ancora oggi, mezzo secolo dopo, felicità per chi la guarda. Dopo il rigore di Vasovic all’inizio del secondo tempo e la sassata di Sormani che segna il 3-1, a chiudere i conti e a siglare il trionfo è ancora Prati. In un contropiede Rivera si porta a spasso l’intera difesa olandese, salta anche il portiere, ma si porta la palla troppo defilata sul fondo. Allora alza la testa e scucchiaia al centro un assist per la testa di Pierino che allarga le braccia, dandosi la spinta e la appoggia incrociando nell’angolo opposto a quello in cui si è tuffato il portiere. Fare tre gol in una finale di Coppa dei Campioni era toccato, prima di allora, solo agli dei del calcio: Puskas (per due volte) e Di Stéfano. E da allora non è più toccato a nessuno.

   

Pierino Prati se ne andò dal Milan nel 1973, dopo sei fantastiche stagioni, 209 partite e 102 gol. Finì alla Roma, dove si fece voler bene anche lì. Molti miei amici milanisti, tra cui Claudio, non staccarono però il suo poster rossonero da sopra il letto. Per anni Prati ha poi lavorato nel calcio giovanile e poi come commentatore, sempre appassionato ma mai fanatico, di cose di calcio.

  

Con la sua zazzera e la sua faccia da ragazzo buono di periferia, Pierino Prati era il nostro quinto Beatles. Lo scorso dicembre, a un pranzo organizzato da quello straordinario uomo-squadra che è Giovanni Lodetti per ricordare i cinquant’anni dalla vittoria del Milan nell’Intercontinentale, insieme a Carletto Schnellinger e Saul Malatrasi, Lino Golin e Nevio Scala, c’era anche Pierino, con quella sua faccia da ragazzo buono già incisa dai solchi della malattia. Sorrideva mite e forse un po’ confuso per tanto affetto e riconoscenza di chi nel 1969 aveva vissuto con lui, e grazie a lui, quell’indimenticabile “primavera di Prati”.

 


 

* Gli amici citati, Gianni (Sacco), Michele (Ansani) e Claudio (Sanfilippo), sono stati i miei compagni di scrittura in 1899. AC Milan. Le storie (Hoepli, 2019), nel quale si può leggere il bellissimo capitolo “La primavera di Prati”, scritto da Michele Ansani.

Di più su questi argomenti: