(foto LaPresse)

La promozione del Benevento è una somma di rivincite

Leo Lombardi

Quella guidata da Pippo Inzaghi è una squadra costruita con gente in cerca di una seconda o, addirittura, una terza opportunità. In grado di abbattere un record che durava da più di 40 anni

Facile dirlo oggi. Facile sostenere che il Benevento fosse, in serie B, la favorita naturale alla promozione. Perché anche nell'estate 2018 si sosteneva la stessa cosa, che i campani fossero stati costruiti per l'immediato ritorno in A. E fu un disastro, con l'umiliante eliminazione nella semifinale playoff: un 3-0 incassato in casa dal Cittadella dopo aver vinto 2-1 all'andata. Un disastro ma anche una lezione, bene appresa dal presidente Oreste Vigorito e, soprattutto, dal direttore sportivo Pasquale Foggia. Gli atti sono stati conseguenti, con una squadra costruita con gente in cerca di una seconda o, addirittura, una terza opportunità. E lo sono stati pure i risultati, con una promozione arrivata a sette giornate dalla fine del campionato. Non capitava dal 1977-78, con lo storico salto in A dell'Ascoli allenato da Mimmo Renna.

 

Una nuova opportunità la chiedeva Pippo Inzaghi, uno che non se la tira dall'alto di un titolo mondiale e di quanto vinto con Juventus e Milan. Proprio il Milan l'aveva cacciato dalla panchina nel 2015 e lui era ripartito senza problemi dalla serie C a Venezia, conquistando la promozione. Licenziato dal Bologna a gennaio 2019, è ancora sceso di categoria per vincere nuovamente. Lo ha fatto con risultati che non ammettono repliche: la promozione in largo anticipo, per l'appunto; una sola sconfitta, il clamoroso 4-0 incassato a Pescara da dove è partita una serie di 18 vittorie e quattro pareggi che ha certificato la differenza; le sole 15 reti subite, un paradosso per un attaccante qual è stato Inzaghi, che fanno della difesa dei campani la migliore in Europa.

 

Una difesa che ha dato tantissimo al tecnico. Luca Antei, per esempio, cresciuto nel vivaio della Roma dove arrivava dal Tor di Quinto. Un fisico possente, che lo porta a essere leader prima degli Allievi Nazionali di Andrea Stramaccioni e poi della Primavera, dove De Rossi padre lo arretra in centrale da centrocampista che era. Un fisico che ne determina anche la carriera, con il legamento crociato destro che lo tradisce due volte: prima a Grosseto, nel 2012, poi a Sassuolo, nel 2015. Appena giunto a Benevento si rompe subito il tendine di Achille, nel 2017: da qui è ripartito per l'ennesima rinascita. Oppure Luca Caldirola, una vita nell'Inter, dai Pulcini alla Primavera. Nel 2013 perde la finale dell'Europeo Under 21 in Israele. Una Italia forte, ma comunque sorprendente. Ci sono Alessandro Florenzi, Marco Verratti, Lorenzo Insigne, Ciro Immobile. Peccato che l'avversaria sia la Spagna di De Gea, Koke, Morata, Isco, Thiago Alcantara. Finisce 4-2 per loro, Caldirola è tra i più bravi del torneo. Non basta all'Inter, che lo cede al Werder Brema non appena torna in Italia. Ci resta fino a gennaio 2019, quando il Benevento lo ingaggia. 

 

 

Esperienza all'estero che lo accomuna a Federico Barba, altro difensore. Stoccarda in Germania, Sporting Gijon e Valladolid in Spagna, prima della chiamata italiana. Alessandro Tuia, invece, lo definivano il nuovo Alessandro Nesta quando giocava nelle giovanili della Lazio. Paragone ingombrante e pericoloso, con una carriera che non decolla ad alti livelli dopo il debutto a 19 anni contro la Juventus. A Benevento si è presentato dopo sei stagioni nella vicina Salerno, dove lo hanno lasciato andare a parametro zero senza troppi rimpianti. E forse pentendosene oggi.

 

Un discorso che vale anche per Perparim Hetemaj, finlandese di origini kosovare. Nel rinnovamento del Chievo retrocesso non gli hanno offerto un prolungamento del contratto: troppo vecchio, per i 34 anni che compirà a dicembre. E troppi acciacchi, dopo 249 partite con i veronesi. A Benevento non se ne sono accorti, visto che il centrocampista che sognava di giocare nella Lazio è sempre stato uno dei migliori. Un discorso anagrafico che lo accomuna a Christian Maggio, preso a 36 anni nel 2018, al termine del rapporto con il Napoli. Qui si era fermato per dieci stagioni, titolare fisso sulla fascia con due Coppe Italia e una Supercoppa, oltre alle 34 presenze in Nazionale. Nel giorno della partita di addio, l'umiliazione da parte di Maurizio Sarri di non farlo scendere in campo neanche un minuto al San Paolo contro il Crotone, il 20 maggio all'ultima giornata di campionato, quando tutti i giochi erano fatti da tempo. Una decisione che l'ha rilanciato, invece di demotivarlo.

 

Motivazioni che ha dovuto trovare dentro di sé Roberto Insigne, noto sempre come il “fratello di”. Minore, per di più, visti i tre anni che lo separano da Lorenzo. Un cono d'ombra da cui ha saputo uscire la prima volta a Parma, nel 2018, quando è stato protagonista del ritorno in serie A, ripetendosi a Benevento con tecnica e gol: sette, di cui sei nelle ultime nove partite, tra prima e dopo Coronavirus. Sono pronti a puntare su di lui, dopo il riscatto del cartellino dal Napoli, per farne un leader del gruppo. Come un leader era Marco Sau in Sardegna, legatissimo al Cagliari, di cui era stato una bandiera per quasi sette stagioni, punto di riferimento dichiarato per Nicolò Barella. Strade che si sono divise a gennaio 2019, per una esperienza (molto) sottotono alla Sampdoria. In estate Sau ha detto sì al Benevento ritrovando, a 32 anni, la continuità realizzativa che sembrava perduta. Ed è bello e giusto che il gol promozione contro la Juve Stabia sia stato suo. Simbolo di un gruppo nato per ripartire.