il foglio sportivo – il ritratto di bonanza
Gli arbitri lontani dal cuore
Bisogna essere crudeli (ma anche senza occhi) per decretare certi calci di rigore, non esiste altra spiegazione. In Serie A ne sono stati concessi ben 142 a nove giornate dalla fine
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Gli arbitri italiani, travolti dalla tecnologia, stanno perdendo il sentimento. Bisogna essere crudeli (ma anche senza occhi) per decretare certi calci di rigore, non esiste altra spiegazione. In Serie A ne sono stati concessi ben 142 a nove giornate dalla fine. Quindi con ancora 90 partite da giocare, la proiezione del dato si aggira intorno alla spaventosa cifra di 190. Di quale calcio stiamo parlando? I difensori, per paura di provocare il danno, affrontano gli avversari in area con la stessa delicatezza con cui si accarezza una farfalla. Se la palla sfiora una mano, quella mano diventa una pistola fumante e l’arbitro, insieme a oscuri reggenti chiusi nella stanza delle immagini, condanna quella mano alla massima pena del calcio di rigore. E così, un delitto irrisorio, il furto di una mela, trova il suo colpevole. Gli esperti lo definiscono un fenomeno inevitabile con l’introduzione del Var e delle nuove regole. Ma gli esperti di questi tempi sono poco credibili e certe decisioni ti vengono spiegate ricorrendo alla famosa “supercazzola prematurata come se fosse antani”, per citare un astruso e surreale ragionamento. La situazione non è grave però è seria, ribaltando il grande Flaiano. Stiamo parlando di calcio e quindi tutto è relativo, ma non è questione di semplici errori, a quelli si può rimediare, ma di una tendenza che sta conducendo questo gioco verso una direzione opposta alle sue stesse ragioni di esistenza. Il calcio è uno sport di contatto, ma la tecnologia smaschera spesso un’intenzione, l’ipotesi, senza riuscire a dare un peso, una forza al gesto. L’arbitro decide sul campo con la lente, pensando di essere lui stesso la tv, ingigantendo tutto, trasformando le zanzare in pipistrelli. C’è da capirlo il signore con il fischietto, una volta era come un sovrano al cui volere si inginocchiava il popolo. E anche se qualcuno lo guardava con sospetto, tutti lo ritenevano indispensabile e si sentivano perduti senza di lui. Oggi quel signore con il fischio in bocca è chiamato a indirizzare il traffico, dentro a una confusione di regole sbagliate e fuorvianti. Paradossalmente il silenzio di stadi vuoti ha amplificato il rumore di certi provvedimenti a cui si fa fatica a credere. Perché le immagini smentiscono tutto, o in parte, e quelle sequenze ce le hanno anche loro, ce le ha il mondo intero. Si tratta di un momento storico, l’epocale passaggio dall’uomo alla macchina in cui l’individuo viene colpito nell’orgoglio. E resiste, pur sapendo di combattere una battaglia che ormai è già perduta. Lontano dai suoi occhi l’arbitro sa già che qualcuno un giorno deciderà tutto per lui. E questo gli fa male al cuore.
Il Foglio sportivo