Mike Tyson e i cinque comandamenti del pugilato
L'ex campione del mondo dei pesi massimi tornerà sul ring, a 54 anni, il 12 settembre 2020. Sfiderà Roy Jones Jr in un exhibition match, un incontro di preparazione da otto round
Anche se non ci fosse il Covid e le stagioni sportive procedessero normalmente, la notizia sarebbe una bomba, con buona pace delle Olimpiadi e degli Europei di calcio. Il 12 settembre 2020 Mike Tyson tornerà sul ring per un’esibizione di otto riprese contro Roy Jones Jr., in un match foriero di una nuova stagione – a 54 anni – di clamorosi combattimenti.
L’ “I’m Back” è stato accompagnato da un video in cui Tyson sfoggia rapidissime schivate e potenti rientri che schioccano come frustate sulle protezioni dell’allenatore. Le immagini sono state accompagnate dallo strabuzzare degli occhi degli appassionati e da due tipi di esclamazioni. Coloro che pensano che il tempo non trascorra – i più, a dir la verità - si sono sfregati le mani sussurrando “Però!”, gli altri hanno scosso il capo e mormorato “Perché?”. Delle due reazioni, la seconda mi pare decisamente più sensata e meritevole d’una qualche riflessione.
Il pugilato vive di cinque comandamenti che sono stati incisi su tavole d’oro ancor prima della nascita del Marchese di Queensbery. In realtà sono semplici considerazioni di buon senso che valgono per tutti quelli che hanno praticato questo sport, ma che paiono confezionate apposta per i più grandi campioni. I precetti verranno di seguito enunciati e commentati brevemente a proposito di ciò che accadrà il 12 settembre prossimo.
Foto LaPresse
Tutti sono campioni del mondo, ma il più grande di tutti è il campione dei “pugili grossi”.
In altre parole, nonostante il massimo rispetto portato verso Nino Benvenuti, Carlos Monzon, Marvin Hagler, Sugar Ray Robinson e l’omonimo Leonard, Roberto Duran e indietro sino a Harry Greb, vale l’antichissimo criterio del “campione del mondo di tutte le categorie” che, inevitabilmente, è sempre appartenuto ai “pugili grossi”: i pesi massimi. Inoltre il “campione del mondo di tutte le categorie” deve essere uno, come Dio, e non tre o quattro, come gli dei pagani. Mike Tyson è stato l’ultimo indiscusso campione di tutte le categorie e ciò, malgrado l’ineluttabile trascorrere del tempo, lo rende ancora l’unico Messia.
Ciò che tutti attendono nella boxe è l’applicazione del Principio Mendoza: non si vince con la forza bruta, ma con la tecnica e l’intelligenza.
I Sacri Graal di questo comandamento sono il primo incontro tra Gene Tunney e Jack Dempsey e “Rumble In The Jungle”. In ognuno di questi match i pugili intelligenti – Gene Tunney e Alì – sconfissero indiscutibilmente i campioni del mondo in carica, che tutti consideravano inesorabili macchine da KO. In questo senso Mike Tyson continua a essere l’ultimo grande spauracchio, perché la sua furia devastante non è stata frustrata da avversari più intelligenti di lui – come è accaduto a Dempsey e Foreman – ma solo dalle proprie debolezze personali: niente affatto pugilistiche.
Perciò s’attende ancora con trepidazione l’applicazione del Principio Mendoza in un match in cui appaia Iron Mike.
Nel pugilato c’è un punto oltre al quale non si può andare.
Quando chiesero a Jack Dempsey di tornare a combattere, offrendogli cinquanta milioni di dollari del 1929, rispose: “Non ci penso neanche. Ho abbastanza soldi per vivere bene finchè arriverà la mia ora e son già contento che dopo tredici anni di combattimenti posso ancora andare in giro sulle mie gambe e chiacchierare con la gente”. Purtroppo è un comandamento sfavorevole a Mike, ma è dura farglielo capire – ha un carattere caparbio – nonostante bastino le immagini degli ultimi due combattimenti di Alì, contro Larry Holmes e Trevor Berbick, per fargli comprendere qual è il rischio che si corre a oltrepassare il proprio limite.
Non c’è nulla di più triste di vedere un vecchio grande campione di boxe tornare sul ring.
Lo dicono in tutte le palestre – da Gleason a NYC sino a quella della Boxe Piovese di Piove di Sacco – che la cosa più penosa da vedere è un grande campione tornare all’attività agonistica dopo molti anni, un sacco di tempo dopo la scadenza del ragionevole tempo massimo. Tuttavia se la sua apparizione si conclude con una secca sconfitta allora tutto s’esaurisce con la pietosa pena che si prova quando si vede un glorioso edificio disabitato crollare. Ma se, come è accaduto con George Foreman, il vecchio leone si ripiglia la corona mondiale dei pesi massimi dopo vent’anni, allora ciò che viene abbattuto è lo spirito stesso della Nobile Arte, che viene ignominiosamente ricacciata ai tempi del “Colosso di Argilla” di Budd Schulberg.
Ogni cosa ha un prezzo.
E’ l’ultimo comandamento che di solito si rivela decisivo perché, come in questo caso, l’osservazione dei precetti conduce alla parità tra elementi favorevoli e contrari. Tuttavia il quinto comandamento non fissa il prezzo standard d’ogni cosa, perché il suo valore varia a seconda del tenore di vita che si desidera, di quanti debiti si sono accumulati quando si era ancora sulla cresta dell’onda e se, oltre al pugile, si sa fare qualche altro lavoro per sbarcare il lunario. Vito Antuofermo, per esempio, smessi i panni del pugile riprese a fare ciò che faceva prima: il giardiniere nell’impresa di famiglia e poi l’assicuratore.
Tuttavia se tutto appare ormai essere ben oltre il limite del collasso finanziario e non si sa fare altro che la macchina da pugni nella vita e nella fiction, ben presto si torna dove tutto è cominciato. Non importa se tutto appare smaccatamente truccato come gli incontri di wrestling televisivo dei primi anni ’80 e neppure ci si preoccupa della propria reputazione o di quella del pugilato glorioso del “campione del mondo di tutte le categorie”. Perché, come ogni cosa, anche i ricordi di Alì, di Frazier, di Joe Louis, di Gene Tunney hanno un prezzo. L’importante è fissarlo, trovare qualcuno disposto a corrisponderlo e decidere la data.
Il 12 settembre 2020.
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