Tornare ad ascoltare il ciclismo. Parla Alessandra De Stefano
Con la Strade Bianche ritornano le grandi corse per riempire di nuovo gli armadi che abbiamo svuotato in questi mesi. I ricordi e il futuro, Pantani e le novità dopo un luglio senza Tour (e Gianni Mura)
Fu una sera di maggio del 1937 che Mario Sironi, mentre passeggiando per le vie del Quartiere Latino di Parigi, si imbatté in una libreria che all’interno, tra decine di volumi, esibiva una bicicletta sulla quale altri libri erano ordinatamente riposti. Rimase solo qualche secondo a guardarla, poi se ne andò per riprendere il filo dei pensieri che la passeggiata provava a districare. Fu qualche mese dopo che quella visione gli riapparve in mente, “malevola come un brutto sogno”, scrisse all’amico Umberto Boccioni. “Perché quella bicicletta ferma e costretta in pochi metri nient’altro era che una blasfemia, l’uccisione del movimento. Una bicicletta lasciata immobile a sorreggere qualcosa che non sia un corpo è prigionia e disamore”, l’espressione plastica di quanto può essere abominevole il vuoto.
Per tre mesi le biciclette sono rimaste ferme, o quasi. Al massimo si sono mosse immobili sui rulli, rimedio d’emergenza alla costrizione domestica. Hanno osservato inermi il vuoto della pandemia di Covid-19, quella sensazione di impotenza che, più o meno intensamente, si è impossessata di noi. E quando hanno avuto la possibilità di riappropriarsi della loro dimensione, la strada, hanno provato a riempirlo pedalata dopo pedalata. Pianure, colline, montagne hanno rivisto quelle macchie colorate e affaticate tornare a muoversi. Mancava però ancora qualcosa. Il ritorno del dinamismo più incalzante, le macchie colorate e affaticate più veloci. Sono tornate pure quelle. Sono partite da terre poco conosciute, almeno al pubblico del ciclismo, da palcoscenici di provincia. Da oggi torneranno a prendere possesso dei palchi più importanti. Inizieranno da Siena, dalla Strade Bianche, la neoclassica degli sterrati toscani. E quando dopo 19,7 chilometri usciranno dal primo sterro, dal settore 1 di Vidritta, e si lasceranno il polverone alle spalle, sarà come una ripartenza. “Una rinascita, un nuovo inizio”, dice al Foglio Alessandra De Stefano, per anni volto del ciclismo Rai, ora vice direttrice di Rai Sport.
Alessandra De Stefano
“Perché se è stato vero per anni, e forse ancora lo è, che sono le corse a fare i campioni, ora il ciclismo ha bisogno più che mai di tutto il gruppo, dei corridori. Loro, volenti o nolenti, hanno la possibilità di aiutarci a lasciare alle spalle cosa è successo”. Non dimenticare, “solo renderlo più agevole”. E sarà davvero una ripartenza, una novità assoluta, l’abbandono della componente tattile, “quella della prossimità a bordo strada”, e l’ingresso in una dimensione inesplorata. “Saranno, e saremo, alle prese con uno sport che per la prima volta nella storia si troverà a muoversi di fronte a una platea vuota”. Una prima assoluta per loro, “ma una prima assoluta anche per noi spettatori. Uno scombussolamento che paradossalmente però ci darà la possibilità di farci sentire parte del gruppo, ci avvicinerà ai corridori. Perché potremmo sentire il suono del plotone, quel tintinnare di cambi e telai, quel parlottare, che quasi mai abbiamo sentito. Sarebbe bello se la televisione riuscisse a dare spazio a tutto questo”. Ci troveremo di fronte a un ciclismo “più naturalista, più essenziale, più minimalista. E noi saremo come il signore maturo con un orecchio acerbo di Rodari”.
Signore, gli dissi dunque, lei ha una certa età
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa?
Rispose gentilmente: – Dica pure che sono vecchio,
di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
È un orecchio bambino, mi serve per capire
le voci che i grandi non stanno mai a sentire:
ascolto quello che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose…
La silenziosa velocità della bella bici che va di Paolo Conte si riprende la scena. “Il pubblico lungo le strade difficilmente ci sarà, in qualche caso sarà solo all’arrivo e alla partenza, ma distanziato. I corridori si troveranno quindi a correre soli, a gestire un’assenza enorme. Perché il pubblico non è mai stato solo sfondo, quasi sempre è stata una spinta in più, qualcosa di necessario, un’estensione di questo sport. Se il ciclismo fosse un albero, gli spettatori sarebbero i rami, si può disegnare un albero senza i rami?”, sottolinea Alessandra De Stefano.
E per riempire questa assenza “serve il gruppo, la fantasia che supera l’attendismo, più che le imprese servirà la volontà di non dare nulla per scontato. Un ritorno a quello sport che non si vedeva, se non per pochi istanti a bordo strada, ma si immaginava ascoltandolo alla radio. E forse per me andrà davvero così: sabato la Strade Bianche la voglio ascoltare”. Una riscoperta di ciò che ci ha fatto innamorare del ciclismo, “perché l’amore per questo sport nasce dal racconto, quello dei nonni e dei padri, quello delle imprese che furono, a volte ingigantite, sempre personalizzate da chi ce le ha raccontate”.
È uno sport familiare il ciclismo. Per trasmissione e per atmosfera, soprattutto per ritualità. Perché il tempo è scandito da un calendario che da decenni è più o meno lo stesso. Una ritualità sconvolta dal blocco della pandemia, che ha imposto un cambio di programma che si pensava impossibile. La primavera che non arriva con la Sanremo (si corre sabato 8 agosto "fuori stagione e tradita dalla Riviera. Un'occasione persa. Peccato. Non vedere nella Classicissima un'opportunità incredibile per ripartire è miopia"), le Classiche del Nord lontane dalla Pasqua, il Giro di Lombardia (il 15 agosto) corso con le foglie sugli alberi e il Giro d’Italia invece senza (si corre dal 3 al 29 ottobre). “Questi giorni erano quelli che trascorrevo con Gianni Mura sulle strade del Tour de France. Passare un luglio senza Tour e un Tour senza Gianni ti lascia addosso una sensazione strana, una mancanza enorme”, racconta Alessandra De Stefano. Il virus, almeno quest’anno, “ha cancellato tutti quei rituali che hanno sempre fatto parte del ciclismo e del lavoro di chi questo sport lo segue. Perché il ciclismo prima ti prende e poi ti trasporta, sentimentalmente e per il mondo, lungo quel suo solito percorso ciclico, fatto allo stesso modo di una ruota di bicicletta. Un incontrarsi e ritrovarsi nei soliti luoghi e negli stessi periodi, quelli delle corse, a commentare però qualcosa che non è mai uguale a se stesso, che cambia continuamente”.
Luoghi che saranno gli stessi senza esserlo davvero, perché fuori stagione, per fortuna però non fuori tempo massimo. Perché il tempo delle corse è arrivato “e ci darà l’occasione di riempire gli armadi che abbiamo svuotato in questo periodo”. Alessandra De Stefano alla Rai si è occupata anche di questo nei mesi passati. Un’operazione di risistemazione e montaggio di ricordi che si sono accumulati negli anni. “È successo con Marco Pantani. Era da anni che avevo una miriade di girati che potevano e forse dovevano trovare una collocazione, prendere una nuova dimensione. Ho conosciuto un montatore molto bravo che mi ha aiutato a farlo”. Ne è venuto fuori “C’era una volta il Pirata”, un viaggio in immagini e parole lungo il viaggio nel ciclismo dello scalatore di Cesenatico. “Ancora oggi quando penso a Marco mi viene un po’ di rabbia e molto dolore. Era fantastico e tragico, imprevedibile, quando gli facevi del bene ti dava un morso. Nel lavoro che abbiamo fatto si vedeva la sua trasformazione, il suo dramma interiore”.
D’altra parte questo sport è un fare i conti con quello che è stato, perché si muove in palcoscenici aperti e avvicinabili, sempre quelli. Senza però essere nostalgico, perché sempre pronto ad accettare il nuovo, sempre pronto a stupirsi ancora. “È anche una lunga analisi, una forma di conoscenza dell’essere umano, perché mentre si pedala tutta la generosità, gli egoismi, l’altruismo, la testardaggine, la cattiveria, la furbizia e la malignità vengono fuori, si fanno palesi e senza filtri. I corridori sono navigatori in un mondo precario, la libertà che dà la bicicletta è legata in un microcosmo pieno di regole e non detti, di volere di branco e ambizioni personali, di rincorse e di evasioni. Solo quelli che vanno in fuga assaporano appieno la bellezza della bici, la sua dimensione spaziale. Sono dei libertari, dei sognatori. Gli unici ancora bambini del gruppo. Perché la prima cosa che pensi da bimbo quando inizi a pedalare è che sei libero, ‘posso andare lì’. E quel lì è sempre un altrove”, conclude Alessandra De Stefano.
L’altrove riparte oggi da Siena alle 13,45 minuto più o minuto meno. Fuggirà ogni giorno sempre più là per cercare di non essere ripreso, per non essere fermato ancora dalla pandemia.