Michale Schumacher e Lewis Hamilton (foto LaPresse)

il foglio sportivo

Hamilton quasi come Schumacher

Umberto Zapelloni

Perché se oggi in pista c’è un pilota e un uomo che merita di eguagliare i numeri dell’ex ferrarista, quello è proprio Lewis. E la Rossa non può impedirglielo

Il doppio conto alla rovescia è già scattato. La Formula 1 che si sta immergendo nel secondo trittico stagionale sta per incrociarsi con la storia. A Silverstone, tra una settimana, festeggerà i suoi primi 70 anni, al Mugello, a inizio settembre, celebrerà con una gara creata ad hoc il millesimo Gran premio della storia Ferrari. Ma l’incrocio più atteso, e probabilmente il più pericoloso per il suo significato, è quello tra Michael Schumacher e Lewis Hamilton. In attesa di raggiungere Schumi anche a quota 7 mondiali, il Cavaliere Nero è a sole 5 vittorie dalle 91 totalizzate dall’ex ferrarista. Può affiancarlo a Monza e superarlo al Mugello, due piste simbolo del ferrarismo e dello schumacherismo. La Ferrari anche dopo la rivoluzione soft voluta da Binotto non può far molto per fermarlo. Godesse davvero di ottima salute, come ha detto il presidente Elkann, potrebbe allontanare Hamilton da Schumacher, ma per come stanno le cose è difficile pensarlo se non affidandosi a quei miracoli che però in Formula 1 ogni tanto accadono. Pensate al Gran premio d’Italia del 1988, il primo dopo la morte di Enzo Ferrari, per crederci. In quell’anno le McLaren di Senna e Prost dominavano, vinsero 15 gare su 16, ma persero proprio a Monza per un improvvido doppiaggio di Ayrton che regalò al popolo ferrarista addirittura una doppietta con Berger e Alboreto.

  

Se non sarà a Monza o al Mugello, magari grazie a Verstappen, l’aggancio è comunque nell’aria. Hamilton ha nel mirino gli ultimi tre primati di Schumi: il numero di podi (è a 153, gliene mancano due), di vittorie (è a 86, gliene mancano cinque), di Mondiali (è a uno solo dal mitico settimo titolo). Se togli dalla carriera di Schumi quei 58 Gran premi finali corsi con la Mercedes, le cifre sono molto simili a quelli di Lewis. Il ferrarista più amato dai tifosi del Cavallino, ha vinto la sua 91esima gara al 246° Gran premio. Hamilton è a quota 253. Siamo davvero lì. Numeri a parte Schumacher e Hamilton hanno altri punti in comune: la voglia di vincere, di dominare, di sentirsi i numeri uno, la capacità di fare squadra e di diventarne nello stesso tempo i padroni assoluti.

 

Ross Brawn che li conosce bene tutti e due per averli guidati e poi visti diventare campioni assoluti, trovava una sola grande differenza tra di loro: “Sono i simboli di due ère diverse, con una competizione diversa, con diversi tipi di macchina e con personalità abbastanza diverse. Personalità molto diverse. Lewis è incredibilmente professionale e lavora con incredibile dedizione e impegno, ma Michael aveva un livello di intensità del dettaglio nei confronti della macchina di cui Lewis non ha bisogno. Se ci capitava di programmare un test all’improvviso e io chiamavo Michael alle 9 di sera per comunicarglielo, lui mi diceva dimmi dove e arrivo subito. Con Lewis sarebbe diverso…”. Michael viveva per la sua Ferrari e prima per la sua Benetton e poi per la sua Mercedes. Hamilton vive la Formula 1 in modo meno totalizzante. Non ha moglie e figli, ma ha la musica (ha appena svelato di essere stato protagonista di un’incisione con Cristina Aguilera), la moda (basta vedere i suoi look), ha soprattutto le sue battaglie per un mondo migliore. “Michael è stato cresciuto in un’èra in cui non c’era la tecnologia che c’è adesso – racconta ancora Brawn – L’analisi dei dati era abbastanza cruda; il coinvolgimento del pilota era molto più alto. Ora un pilota salta giù dalla macchina e l’ingegnere ha un’analisi del comportamento della vettura in ogni curva. Quindi, il pilota non deve dire moltissimo”. Se ai tempi di Lauda il culo era la parte più importante per sentire il comportamento di una monoposto, il quelli di Schumi ha cominciato a perdere importanza e in quelli di Hamilton ne ha ancora di meno. “Michael e Lewis sono entrambi enormemente talentuosi in quello che fanno sulla macchina e in quei momenti in cui tirano fuori qualcosa dal nulla. Alcuni dei giri di qualifica che ha fatto Lewis hanno lasciato il team senza parole. Michael era uguale. A volte ci sono semplicemente quei piloti che riescono a farlo”, aggiunge Ross Brawn dando comunque valore all’uomo. Perché per capire davvero un’auto bisogna poterla spingere al massimo e non tutti sanno farlo come quei due.

  

Se oggi in pista c’è un pilota e un uomo che merita di eguagliare il mito Schumacher quello è proprio Lewis. Sono persone molto diverse, nate in famiglie modeste e diventate ricchissime grazie al loro talento. Hanno un senso molto simile della famiglia e dei valori che rappresenta. Michael però ha sempre avuto una cura maniacale per la privacy, mentre Lewis si è abituato a mettere tutti i suoi sentimenti in piazza, sfruttando i social network. Schumacher per diventare un mito ha accettato la scommessa Ferrari dopo i due campionati vinti in Benetton. Ha dovuto aver pazienza, veder crescere la squadra attorno a lui. Anche Hamilton ha accettato una scommessa perché quando ha lasciato la McLaren per la Mercedes non era assolutamente scontato che le frecce d’argento (ora frecce nere per fargli un piacere) diventassero imbattibili come la Ferrari degli anni Duemila. Hanno scommesso e hanno sbancato. Ma il risultato non era scontato. Ci hanno dovuto mettere tanto anche di loro e non hanno sempre vinto grazie alla superiorità delle loro auto. Hanno anche dovuto metterci il loro talento, Schumi contro Hakkinen e Hamilton contro Vettel. La differenza più grande forse sta nell’altra faccia della medaglia. Quella di Schumacher è un po’ come il dark side of the moon, nasconde delle zone oscure, qualche buco nero come il primo campionato vinto contro Hill, quello perso contro Villeneuve o quella Ferrari parcheggiata alla Rascasse per ostacolare gli avversari dopo una pole poi cancellata. Ogni campione ha un lato oscuro. Chi più accentuato, chi meno. In Hamilton è difficile trovare una mossa davvero scorretta. Certo, l’anno scorso in Brasile ha cacciato fuori Alexander Albon, quest’anno in Austria i commissari lo hanno punito per una manovra simile, qualche botta poco urbana con Rosberg se l’è scambiata, ma la sua è una carriera senza peccati inconfessabili, senza macchia davvero. Detto questo è impossibile oggi dire chi sia il migliore. In fin dei conti siamo stati anni a decidere chi fosse meglio tra Pelè o Maradona. E poi è arrivato Messi a complicare la scelta.

Di più su questi argomenti: