Seduto idealmente in cima al moncherino della curva Nord di San Siro, o di quel che ne rimarrà, gran ruina, dopo che Beppe Sala e i padroni foresti di Inter e Milan si saranno accordati sull’edificando nuovo stadio, previo abbattimento del vecchio in nome del business stellare e trasformazione dell’ex Scala del calcio in un parco giochi o shopping center che sia, guardo giù. Verso Roma. Verso le curve basse dell’Olimpico mai troppo amato dalle tifoserie dei diversi colori e che ancora a lungo rimarrà lì. E guardo verso la AS Roma, che nottetempo mercoledì è passata di mano, dall’americano a Roma James Pallotta all’americano a Roma 2.0 Dan Friedkin, 591 milioni debito compreso. Guardo al di là degli Appennini – non proprio fino alle Ande o al Texas del nuovo padrone – e guardo rispettoso, come un non invitato che se ne sta, appunto, sul moncherino della sua curva Nord. E con affetto, senza entrare nel merito: del bilancio dei nove anni della gestione americana 1.0 parleranno i romani e i romanisti. Per alcuni esegeti-tifosi-giornalisti del club giallorosso la presidenza Pallotta non è stata delle peggiori; per altrettanti peggio di una sciagura o un’alluvione o il Sacco di Roma. Non lo so. Quel che so, e guardo con simpatia, è che così come Totti è un patrimonio nazionale, da tutelare all’Unesco (Totti che ieri mattina al sito del Foglio diceva: “Era ora”) così anche la AS Roma, e il calcio della Capitale in quanto tale, è un patrimonio italiano da far lievitare, da trasformare.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di attualità sui dispositivi che preferisci, approfondimenti quotidiani dall’Italia e dal Mondo
Il foglio web a € 8,00 per un mese Scopri tutte le soluzioni
OPPURE