Lo sport fa davvero male. A chi non lo conosce e forse non lo ama davvero. Ogni volta che la politica prova a mettere le sue lunghe mani da quelle parti rischia di scottarsi. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, è addirittura arrivato a presentare le dimissioni, dopo esser stato vittima del fuoco incrociato di amici e nemici, uniti nel criticare la sua legge di riforma dello sport italiano. Il premier Conte ha preso tempo, un po’ come il suo omonimo sulla panchina dell’Inter, rimandando tutto a dopo l’estate. Dimissioni congelate e di conseguenza congelata anche la riforma dello sport (“Ne riparleremo dopo l’estate”, la promessa del ministro), basata su concetti condivisibili, ma un po’ troppo zoppicante in alcuni dettagli che hanno denotato una scarsa conoscenza di un argomento molto più complesso di quanto si possa credere. Confondere libici con libanesi è grave, ma può essere considerata una svista da ansia di prestazione (social), non sapere a chi appartiene Palazzo H se si vuole cambiarne il proprietario è un errore grossolano. La bozza del ministro ha scontentato M5s, Pd, opposizione e pure tutto il Coni più unito che mai. Oltre al “mostro a quattro teste”, il Coni mette nel mirino la suddivisione dei fondi, il limite ai mandati, il peso economico del lavoro sportivo (esagerato per associazioni e società dilettantistiche già alla canna del gas, ma anche per chi come la Figc avrebbe dovuto assumere 32 mila arbitri), il vincolo sportivo indispensabile per gli atleti, ma pericoloso per le società.
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