Ossessionato dal calcio, il tecnico dell'Inter vive il suo amore disperato per il pallone e la vittoria con l’incubo di perdere tempo. Cosa c’è dietro alle follie di un grande allenatore insoddisfatto e scostante?
L’argento non si addice ad Antonio Conte. Intanto perché è il colore del secondo posto, ovvero della sconfitta, che lui vive come “un lutto temporaneo per me e per la mia famiglia”. E poi perché è un colore che ricorda il grigio, la sfumatura, la complessità, concetti difficili da trasmettere a un gruppo di venticinque teste, venticinque personalità diverse, a volte persino venticinque nazionalità (esageriamo, ma non troppo: nella rosa dell’Inter 2019-2020, conteggiando anche l’austriaco Lazaro andato via a gennaio, ci sono rappresentanti di sedici paesi differenti). Perciò Conte parla chiaro, non fa che ripeterlo in pubblica piazza, “sono uno che parla chiaro”, “mi piace essere diretto”, tutto il contrario delle circonlocuzioni spallettiane alte e voluminose come il fumo della sigaretta di una dark lady in un noir anni Quaranta.
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